Sentirsi accolti e inseriti in un gruppo, soprattutto nell’età della crescita, è di vitale importanza. In fondo, i momenti più belli che si ricordano della scuola sono quelli trascorsi con i compagni.
A volte, e non così raramente purtroppo, capita che qualche compagno rimanga isolato dal resto della classe. Per scelta propria o degli altri, o perché le due parti non sanno bene come relazionarsi e allora ci si chiude dentro recinti diversi, ignorandosi o fingendo di farlo.
Questo elemento emerge con maggiore evidenza durante i momenti ricreativi. Particolarmente frequente se l’alunno che rimane in disparte ha difficoltà pregresse, come una disabilità o disturbi del comportamento che di per sé a primo impatto lo rendono già “diverso” a uno sguardo distratto o diffidente. Da insegnante e da mamma posso dire che fa male assistere a scene così.
Il consiglio
A venirci incontro con un consiglio che emerge dalla sua esperienza diretta, Valeria Leonardi, terapista e assistente alla comunicazione, che racconta di un bimbo di 8 anni, con autismo ad alto funzionamento e difficoltà relazionali.
“Durante la ricreazione non riusciva a interagire coi compagni – riferisce – essenzialmente perché non condivideva interessi e argomenti. È stato avviato un lavoro in piccolo gruppo, ogni giorno sceglieva due compagni e facevamo un gioco in cui in un primo momento sono stati raccolti dati che hanno portato alla compilazione (anche da parte sua) di una carta d’identità di ciascuno dei compagni coinvolti.”
“Venivano riportate le varie preferenze, selezionando gli elementi significativamente rilevanti per bambini di terza elementare: giochi preferiti, gusto di pizza o gelato preferito, cartone o film preferito, e simili. In una seconda fase è stato avviato un gioco di memorizzazione dei vari identikit che li divertiva molto.“
“Piano piano, anche se inizialmente sempre tramite la mia mediazione, sono riusciti a conoscersi meglio a vicenda e a condividere del tempo insieme non solo durante la ricreazione, ma anche nei momenti di pausa dallo studio in classe, e addirittura negli incontri pomeridiani che inizialmente sono stati pilotati, poi generalizzati in autonomia.”
Anche questa è una bella storia, che dà la speranza che INSIEME si può. Magari, perché no, può essere anche un modello da riproporre in caso di problematiche simili.