Ci sono situazioni in cui nemmeno l’affetto e l’amore di una madre sono sufficienti per far fronte a un problema complesso come l’autismo: non è facile essere genitore di un bambino “speciale”, così come risulta pressoché impossibile riuscire a immedesimarsi e a cercare di vedere il mondo con gli occhi del proprio bambino.
Sophie Walker è una di queste madri: sua figlia Grace è affetta dalla sindrome di Asperger e, talvolta, cercare un punto di contatto con la realtà personale della bambina più essere piuttosto difficoltoso. Eppure, per cercare di capire com’è vivere la vita da Asperger, Sophie ha uno strumento del tutto particolare, un videogioco.
SIMULAZIONE INTERATTIVA – Si chiama Auti-Sim, ed è un gioco di simulazione sul modello del celebre The Sims, sviluppato dalla Hacking Health canadese come parte di una sperimentazione di nuovi metodi di supporto fornito ai genitori dei bambini affetti da autismo. Sophie, che ha scritto un libro sulla propria esperienza, si racconta così sulle pagine dell’Independent: “Ero sia affascinata che un po’ preoccupata dalla prospettiva di scoprire come siano davvero le esperienze quotidiane di mia figlia. Ma sono interessata a qualsiasi cosa possa aiutarmi a capirla meglio per poterla aiutare meglio. Certo, lei è stata vittima di bullismo e, per me, viverla attraverso una simulazione sul computer non sarà mai la stessa cosa”.
COME SE FOSSE VERO – “Procedo per quello che sembra un parco-giochi – racconta ancora Sophie – Man mano che mi avvicino agli altri bambini le loro grida si fanno sempre più forti, hanno le facce bianche e il rosso acceso delle loro magliette mi dà fastidio agli occhi. Le grida si fanno sempre più insopportabili: sembrano usciti da una specie di film horror. A un certo punto qualcuno comincia a dire le lettere dell’alfabeto. Voglio uscire di lì, mi è venuto il mal di testa. Non mi è piaciuto quello che ho visto e non voglio che per mia figlia sia la stessa cosa ogni giorno”.
“PERCHÉ LO CHIAMANO GIOCO?” – Sophie racconta di aver chiamato la piccola Grace per mostrarle il videogioco: “L’ho fatta sedere davanti al computer e le ho spiegato che avevo trovato un videogioco che mostrava com’era avere l’autismo. Volevo sapere cosa ne pensasse e così ho fatto partire la simulazione”. La reazione della piccola è stata netta e quasi sconcertante: “Mano a mano che le grida dei bambini virtuali aumentavano, Grace ha premuto il tasto ‘mute’ con tanta veemenza che la tastiera ha sobbalzato davanti a me. Ho chiuso il gioco e le ho chiesto se fosse stato utile. ‘Sì – ha risposto – Perché ti ha fatto vedere come mi sento quanto tutto diventa un problema. Quando tutti parlano tutti insieme e mi confondono. Pensano che sia divertente gridare al parco-giochi, ma a me non piace”. E il racconto di Sophie si conclude con una domanda della sua bambina, una domanda a cui non ha saputo rispondere: “Mamma, ma perché lo chiamano gioco?”
(autismoincazziamoci.org)
di Giovanni Cupidi