Vi propongo di leggere questo articolo come esemplificazione di una discriminazione che in molti non crederanno essere possibile subire. Invece ciò che è successo ad Anna è accaduto anche a me diversi anni fa quando dal mio paese di residenza decisi di volermi trasferire a Palermo. Dopo tanta ricerca e dopo avere individuato l’appartamento adatto alle mie esigenze e anche gusto e dopo aver concluso la trattativa per l’affitto e spese annesse, mio padre si sentì dire dal proprietario (Ugonì famosa e facoltosa famiglia della Palermo “bene”) che, visto che vi ero io in condizioni di disabilità, non era più disponibile ad affittarci l’appartamento adducendo come scusante che gli altri inquilini potevano sentirsi “disturbati” dalla mia presenza!
Sono rimasto residente nel mio paese!
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Anna è un avvocato, e dalla nascita è parzialmente cieca. Non è riuscita a trovare una stanza a Milano. «Ma i soldi li sai contare?»
«Quando spiego che sono laureata, mi guardano tutti dall’alto in basso, come a dirmi: “Ma come hai fatto?”». Anna ha 31 anni, e vive a Brescia. È laureata in Giurisprudenza, ha fatto la pratica da penalista, è specializzata in diritto per disabili. Voleva trasferirsi a Milano, dove sta seguendo un corso di preparazione da magistrato ordinario all’Università Cattolica, ma ha rinunciato. Perché, in una metropoli che, sulla carta, dovrebbe essere moderna, non è riuscita a trovare una stanza in affitto. La «colpa»? Della sua disabilità. Anna è parzialmente cieca, affetta da retinopatia fin dalla nascita e, da qualche anno, anche da atrofia ottica. «La mia malattia è tale che forse un domani non vedrò più, ma questo non possono dirlo con certezza nemmeno i medici». Al momento, però, è completamente autonoma, eppure non è bastato per aiutarla nella ricerca di una casa. «È già stata affittata», era la frase più carina che si è sentita rivolgere. «Anche quando l’annuncio era stato messo la mattina stessa, mi dicevano che c’erano già troppe ragazze interessate. Erano tutte scuse per non dire la verità». Verità che alcuni proprietari, invece, non hanno avuto scrupoli a dirle apertamente: «”La tua disabilità per me è un problema, se ti succede qualcosa poi mi sento responsabile”, mi ha detto uno. “Ma ai normovedenti non succede mai niente?”, gli ho ribattuto. Ho mostrato tutti i miei titoli, le mie qualifiche, ma non è servito a niente». Su circa trenta-quaranta annunci ai quali ha risposto, Anna ha trovato solo una signora, «molto gentile», disposta ad affittarle un monolocale. Troppo lontano però, per lei, dalla sede del suo corso. Anche incontrare potenziali coinquiline con cui dividere un appartamento è stato complicato. «Molte di loro non vogliono una disabile in casa», spiega Anna, che anche a Brescia, l’anno scorso, si è trovata costretta a sottoporsi al terzo grado di un’altra ragazza. «Ma i soldi li sai contare?», le ha chiesto a bruciapelo. «È stato umiliante. L’ignoranza non ha limiti, sono tutti pregiudizi. Nella mia situazione, si fa fatica persino a trovare un lavoro. Ho studiato tantissimo, eppure non ho occasioni. Com’è che le hanno tutti e io no?». «Le persone con disabilità subiscono discriminazioni a volte senza nemmeno rendersene conto, o non sapendo come fare a risolvere il problema», spiega Franco Bomprezzi, presidente di Ledha, la federazione delle associazioni lombarde che difendono i diritti dei disabili e dei loro familiari. «Le discriminazioni sono fenomeni striscianti, non appaiono mai dirette ma sono coperte da un modo di fare ambiguo. Questo avviene per tutte le “diversità”, penso al genere, alla provenienza, all’età. La società non mette le persone in condizioni di pari dignità». Quantificare questi fenomeni è pressoché impossibile. «La cosa fondamentale è che le persone non si limitino a subire, ma sappiano che possono far valere i propri diritti e facciano conoscere le loro storie attraverso i media. Noi di Ledha vogliamo far sapere che si possono difendere i diritti senza apparire aggressivi. Gli strumenti legali ci sono, come la legge 67/2006 anti discriminazione, ma preferiamo sempre che si cambi in maniera bonaria l’atteggiamento della società. Soprattutto, non deve esserci mai un giudizio morale su chi discrimina. Purtroppo si tratta di abitudini consolidate, dettate dalla paura e dall’ignoranza, dal non sapere che una persona disabile può essere in grado di badare a se stessa. È successo tanti anni fa anche a me, quando mi sono trasferito a Milano da Padova». E, anche quando si riesce a trovare casa, spesso rimane l’ostacolo delle barriere architettoniche: «A volte ci sono situazioni al limite del ridicolo, condomini con l’ascensore a norma ma dove devi superare tre gradini per raggiungerlo. Nella vita di tante persone, questo fa la differenza tra la libertà e la prigionia».
(vanityfair)
di Giovanni Cupidi