Il corpo offeso è quello di “Samah” giovane donna tunisina violentata durante il lockdown
A 27 anni cercano di distruggerle la vita, mossi da pulsioni e senza motivazioni, così, forse per noia o semplice arroganza.
Samah è il nome di copertura di una giovane e stupenda donna tunisina, violentata nel corpo e nel cuore a Tunisi in un pomeriggio di lockdown.
Samah ha una laurea magistrale in civiltà, letteratura e lingua italiana; parla e scrive benissimo l’italiano, lavora in remoto per il servizio clienti italiano dell’operatore Lycamobile.
Mancavano due ore al coprifuoco ma doveva necessariamente recuperare il suo pc prestato ad un’amica tempo addietro.
“Ho deciso di recarmi all’appuntamento a piedi. Dopo pochi passi mi rendo conto che la strada solitamente super trafficata che conduce a Beb Alioua è deserta. Ho paura e inizio a provare un senso di smarrimento, avrei voluto raggiungere al più presto il luogo dell’incontro, ritirare il computer necessario per lavorare e rientrare subito a casa.
Ancora non sapevo che la mia sensazione di turbamento si sarebbe trasformata in una tragica concretezza. Camminando scorgo all’orizzonte un uomo e una donna e mi sento più sicura, mi avvicino a loro, la donna inizia subito a farmi domande molto personali e, in un momento di distrazione, è riuscita a rubarmi il cellulare e scappare. L’uomo che aveva accanto l’ha bloccata e mi ha restituito l’oggetto.
Mi dissero che era uno scherzo e credevo che fossero sinceramente preoccupati per la mia incolumità quando si offrirono di accompagnarmi percorrendo una strada secondaria, a loro avviso più sicura. Sono stata ingenua. Quei pochi attimi cambiarono per sempre la mia vita. Cominciammo a percorrere la nuova strada insieme, ma la mia ansia cresceva. In un lampo riescono a bloccarmi e trascinarmi in uno stabile fatiscente.
Mi conducono al secondo piano dell’edificio dove troviamo due ragazzi e una ragazza. Mi rinchiudono in una stanza, resto sola alcuni minuti. Mi era chiaro che non avrei potuto evitare in nessuno modo né lo stupro, né la morte. Pensavo che avrei preferito morire immediatamente, piuttosto che convivere per tutta la vita con una violenza di tale entità.
Fra il terrore e la confusione in uno slancio di forza mi lancio dalla finestra al secondo piano. Cado in un prato condominiale. Cado male, non riesco a muovermi, ho un dolore tremendo alla schiena, scoprirò poi, in ospedale, di essermi procurata due fratture alla colonna vertebrale.
Gli individui del sequestro mi hanno raggiunta e riportata al piano superiore. Sbattuta su di un materasso sporco e consunto due maschi hanno iniziato a picchiarmi e violentarmi a turno senza pietà. Il terzo stava a guardare. Ero vergine.
Dopo alcuni instanti che non sarei in grado di quantificare, due figure del gruppo vedendomi pressoché incosciente e incapace di muovermi, mi aiutano a rivestirmi e bloccano i miei persecutori. Pochi istanti di sollievo prima di perdere i sensi. Mi hanno lasciata sola tutta la notte.
Sarei morta con dolori atroci se la mattina seguente all’alba, il gruppo non avesse deciso di liberarmi e restituirmi il cellulare. Le due persone che avevano avuto un po’ di compassione il giorno prima mi hanno dato il nome e il cognome del responsabile. Sono rimasta sola ancora una volta e ho chiamato la polizia.
Mi hanno condotta in urgenza all’ospedale di Ben Arous, e una volta accertati i danni, trasferita direttamente in sala operatoria. L’intervento chirurgico è durato otto ore. Ho subito fratture nella prima e nella quarta vertebra, è stato intaccato il midollo spinale.”
Le era stata diagnosticata una paralisi agli arti inferiori, causata dalle percosse subite. Ma nonostante gli incalcolabili danni psicologici e morali oggi Samah è in piedi pronta a rivivere e raccontare.
“Parlo perché ho ancora voce, perché questa orribile tragedia non mi ha distrutto definitivamente, perché grazie a Dio sono ancora in vita e sto avendo molte occasioni per poter sensibilizzare la popolazione su una problematica fin troppo diffusa e accettata in tutto il mondo. Nessuno merita di subire un oltraggio così intimo dalle conseguenze imprevedibili. Sono forte e voglio diventare un supporto a chiunque sia stato vittima di abusi e di violenze”.
Oggi Samah vive nel nord Italia e ha ripreso lentamente a camminare, non è autonoma al 100 per cento e ha bisogno di cure. La sua disabilità le impedisce di vivere appieno la nuova vita che l’Italia le sta offrendo, e non essendo italiana non ha diritto in toto ad un supporto medgico ed economico adeguato alla sua condizione.
Qui in Italia molte persone tengono alla sua salute ma non basta. Il suo recupero fisico necessità di cure e il suo inserimento socio lavorativo di risorse. Restate con noi e dateci una mano!