Come dicevo nell’articolo precedente il post di Simone Fantini ha dato il via ad una discussione interessante sul blog INVISIBILI de il corriere.it.
Mi fa piacere riportarvi la “risposta” all’articolo in questione di Franco Bomprezzi e le sue osservazioni e puntualizzazioni.
Come sempre vi invito a commentare a vostra volta.
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di Franco Bomprezzi
E’ molto interessante il dibattito scatenato dal bellissimo post di Simone Fanti “Migranti con disabilità? Seduto al loro posto sarei scappato anch’io“: una riflessione frutto di un ragionamento condiviso da tutta la redazione del blog InVisibili e tradotta in parole da un giornalista paraplegico, come è Simone, che si è immedesimato nella sorte di altre due persone paralizzate agli arti inferiori, che sono state salvate durante lo sbarco a Pachino. E’ curioso come molti lettori abbiano fatto il possibile per ignorare il cuore del post, il nocciolo del problema. Ossia – come è nel nostro dna – un punto di osservazione diverso della realtà, uno sguardo in più, spesso laterale e scomodo, che riporta in primo piano le singole persone, evitando di ragionare solo per slogan, o attorno a numeri e fredde o calde statistiche, ma concentrandosi sull’invisibilità della condizione di disabilità. Si assiste infatti, se rileggete i commenti, quasi a un tentativo di rimozione emotiva, di ricerca di buone ragioni per non occuparsene, accampando nel migliore dei casi la difficoltà di vivere nella quale si trovano, in questo periodo, anche gli italiani, da Nord a Sud. Di qui le accuse di buonismo, e i tanti insulti, davvero inusitati per gravità e violenza, nei confronti di un articolo civile e oggettivo, che non pretendeva certo di fornire soluzioni definitive e complete a un tema complesso e delicato come quello dei fenomeni migratori di massa ai quali stiamo assistendo ormai da tanti anni.
Tanto per cominciare, mi permetto di citare un articolo importante della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che – lo ricordo per chi non lo sapesse – è legge dello Stato Italiano e dunque va applicata al pari delle altre leggi. L’articolo 11 è breve e chiarissimo: “Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie. Gli Stati Parti adottano, in conformità agli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e le norme internazionali sui diritti umani, tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, incluse le situazioni di conflitto armato, le emergenze umanitarie e le catastrofi naturali”. Quindi la questione è chiusa in partenza: è un obbligo, e non un atto di generosità, l’accoglienza umanitaria di persone con disabilità, alle quali va garantita protezione e sicurezza. Tutto ciò che attiene ai successivi atti, dal permesso di soggiorno all’eventuale ritorno al Paese di origine, esula da questa fase, di emergenza umanitaria conclamata ed evidente.Ma noto da molto tempo come in realtà anche le persone con disabilità italiane abbiano in genere una certa difficoltà (per usare un eufemismo) a solidarizzare con disabili migranti (a proposito: la parola “migranti” è correttissima. Si diventa immigrati quando si regolarizza e si stabilizza la migrazione in un Paese, non quando si arriva su una spiaggia, e probabilmente, come spesso accade, si ritiene questa solo una tappa di un percorso verso altre nazioni, verso il Nord Europa). Gian Antonio Stella nel suo insuperabile “L’orda” racconta in modo superbo il fenomeno della migrazione italiana, e continua ancora adesso a scandagliarne le dimensioni, le cifre, le modalità, le sofferenze. Rimando dunque al sito www.orda.it per trovare elementi utili a una riflessione più consapevole. Un po’ di memoria non guasterebbe e ci consentirebbe, forse, di comprendere meglio lo stato d’animo e le speranze di chi arriva qui allo stremo delle proprie risorse umane, economiche e fisiche. La disabilità, forse è il caso di ripeterlo, è di per sé una molla potente per cercare di scappare da una situazione ambientale ostile, dalla mancanza di cure, di assistenza, dalla presenza di barriere insormontabili per costruirsi una vita degna di essere vissuta.E’ evidente a tutti che non possiamo, da soli, come persone e come Paese, risolvere tutte le situazioni drammatiche legate alla migrazione per disabilità. Ma i numeri parlano di un fenomeno assolutamente modesto, che le nostre strutture sono in grado di affrontare civilmente, nel quadro delle normali attività umanitarie di un Paese come l’Italia che è tuttora fra i primi dieci Paesi del mondo. Proviamo ad abbassare la soglia della paura. Restiamo umani, se ne siamo ancora capaci.
di Giovanni Cupidi