Otto Weidt, Giusto con disabilità

Quella di Otto Weidt è una delle storie “silenziose” che escono dall’Olocausto e mostrano il coraggio e la meravigliosa umanità che poche, pochissime grandi persone ebbero nella Germania nazista per salvare vite di donne e uomini ebrei prima e dentro il periodo delle deportazioni. Qualche volta riuscirono, spesso non ce la fecero. Il più famoso di questi è stato Oskar Schindler. Non il solo, per fortuna di alcuni. Weidt fu tra questi, con una particolarità: salvò, o provò a farlo, molti ebrei disabili ed è un Giusto con disabilità, visto che era quasi completamente cieco per una malattia degenerativa.

Una storia che fa riflettere pensando che l’Olocausto ha avuto come prove generali l’Aktion T4, il programma di sterminio delle persone con disabilità dove nacquero i trasporti forzati e le camere a gas (ne abbiamo scritto su InVisibili in “Vite non degne della vita”). Otto Weidt era un imprenditore come Schindler, che aveva dato lavoro a operai ebrei, la maggior parte dei quali ciechi o sordi. Gli erano stati affidati dalla Casa Ebraica per i ciechi. Figlio di un tappezziere, era sempre stato un oppositore del nazismo. In gioventù, appena arrivato a Berlino da Rostock, dove era nato, aveva fatto parte dei circoli anarchici e pacifisti della città. E’ fra i tedeschi che, a rischio della vita e della deportazione, aiutarono gli ebrei, in molti casi tedeschi loro stessi, a nascondersi e evitare la morte. Si calcola che a Berlino furono 1700 coloro che riuscirono a essere salvati e in tutta la Germania solo qualche migliaio, forse 5 mila. Ognuno di loro aveva avuto aiuto da circa una decina di persone. Al massimo si arriva a meno di 50 mila: un numero esiguo pensando agli 80 milioni di tedeschi.

Weidt aveva una fabbrica di spazzole e scope. Lavorava anche per la Wermacht. Questo gli permetteva di avere anche ebrei quali operai coatti, rimandando e cercando di evitare il momento della deportazione. Nel cortile dove sorgeva la fabbrica a Berlino, in Rosenthalerstrasse 39, vi è il museo a lui dedicato. La sua era una delle poche fabbriche dove gli ebrei erano trattati bene. Da lui svolgevano anche mansioni impiegatizie, cosa vietata. Quando vi erano controlli, le sue segretarie si nascondevano e facevano finta di fare le operaie. Arrivò a corrompere i soldati della Gestapo per cercare di salvare o liberare gli operai che vennero arrestati in quei mesi del ’43 quando i nazisti vollero eliminare tutti gli ebrei da Berlino per farne una città senza ebrei. Scambiava al mercato nero scope e spazzole per aiutare a sfamare i suoi lavoratori.

Cercò anche di far fuggire da Auschvitz una delle sue segretarie che era stata deportata lì. Per mesi una famiglia visse nascosta in uno sgabuzzino di meno di 10 metri quadrati della sua fabbrica, finché venne scoperta per una soffiata. Mandava pacchi ai centri di detenzione con cibo e aiuti. Dopo la guerra creò un orfanotrofio per i bambini e le bambine ebree, oltre a una casa di riposo per anziani soli. Morì nel 1947 per un infarto. Nel 1971 fu riconosciuto Giusto fra le Nazioni.

La storia di Otto Weidt, Giusto con disabilità, è tanto bene raccontata nel bel documentario “Otto Weidt – Uno tra i Giusti” (lo trovate a questo link) a lui dedicato su soggetto di Silvia Cutrera, storica del periodo delle persecuzioni naziste e presidente dell’Avi, Associazione per la Vita Indipendente, diretto da Nathalie Signorini con musiche dell’artista cieco Filippo Visentin.
(corriere.it)

di Giovanni Cupidi

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