Parole di Carta: La disabilità visiva (parte 1)

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione
Uno degli errori che è naturale commettere quando si scopre da vicino la disabilità è lasciare che essa occupi tutto il nostro spazio mentale ed emotivo. Così si finisce spesso per dimenticare che dietro c’è un individuo e alla disabilità viene attribuita la causa di qualunque disagio la persona manifesti, soprattutto se priva di un mezzo efficace di comunicazione.

L’interazione con una persona con disabilità e con chi le è più vicino può aiutare ad allargare l’orizzonte e arricchire la prospettiva da cui si osserva la vita facendo cogliere aspetti e significati di essa del tutto inediti.

C’è chi, per comprendere meglio la condizione di chi non vede affronta dei percorsi tattili guidati in cui persone non vedenti guidano al buio altre che non hanno problemi di vista.

Con la dottoressa Arianna Ranauro, psicologa, parliamo oggi di disabilità visiva partendo proprio da esperienze come questa.

Questi percorsi – sostiene la dottoressa – talvolta distorcono la realtà dei fatti. Ciò che spaventa è immaginare se stessi improvvisamente privati della vista. Questa è una condizione simile solo a quella di una parte dei non vedenti o degli ipovedenti. Diversa è la condizione di chi, come me, è nato già privo della vista, e anche quella di coloro che la perdono gradualmente. Se c’è una patologia degenerativa si verifica un adattamento graduale a una condizione che muta continuamente.

Se la perdita dovesse essere improvvisa, la prima cosa da fare prima di provare a riorentarsi è accettare il fatto di essere disorientati, elaborare il lutto per ciò che si sta perdendo. Bisogna accettare il fatto che alcune cose non si possono fare e che altre possono farsi in modo diverso rispetto agli altri, capire che non tutte le esperienze si possono condividere e che ci sono persone che si rifiutano di accogliere un disabile. In quel caso cambiare orizzonte può essere l’unica soluzione.

Che consiglio dare nello specifico a chi si trova ad affrontare una disabilità visiva e alle persone della sua famiglia?

IL CONSIGLIO

Innanzitutto – aggiunge a tal riguardo la dottoressa Ranauro – è indispensabile un ambiente a misura, nel quale gli oggetti siano disposti secondo un ordine che sia rispettato da tutti coloro che si muovono in quel contesto. Trovare le cose sempre nello stesso posto facilita per il non vedente l’acquisizione di maggiore autonomia.

Bisogna anche dar tempo alla persona disabile visiva di esplorare l’ambiente, gli oggetti, le persone e studiare le proprie strategie per muoversi tra di essi in modo funzionale. Importante che non si provi a sostituirsi alla persona con disabilità, che non si intervenga a suo supporto prima che possa aver trovato da sola il modo per superare un determinato ostacolo, tranne ovviamente che la situazione lo richieda davvero.

Ciascuno di noi possiede un’inclinazione naturale al voler fare ma se, anche per affetto e per un eccesso di spirito protettivo, si continua a intervenire in sua vece, si corre il rischio di spegnergliela.

Disabilità visiva

Cosa fare se ad avere questo tipo di disabilità è un bambino? Come insegnargli a muoversi in autonomia?

La dottoressa Ranauro spiega: “Nei casi di disabilità visiva precoce viene meno l’apprendimento per imitazione, proprio perché il non vedere preclude canali importanti. In questi casi bisogna sopperire al fatto che il bambino non ci veda materialmente compiere dei gesti e lo si può fare ad esempio descrivendo ciò che stiamo facendo; va inoltre sempre stimolato a esplorare ciò che gli sta intorno e a manipolarlo, altrimenti si corre il rischio di produrre altri ritardi, come quello motorio o del linguaggio.

Purtroppo un problema che si manifesta frequentemente a scuola è la mancanza di preparazione specifica dell’insegnante di sostegno. C’è un modo per aggirare l’ostacolo consentendo al bambino di poter accedere a mezzi di comunicazione validi per lui?
Assolutamente sì. Bisogna rivolgersi al proprio Comune e alle Associazioni di categoria per richiedere la presenza di un tiflologo che affianchi la famiglia e la scuola.

Chiediamo alla dottoressa di chiarire di cosa si occupi nello specifico il tiflologo e risponde: “Il tiflologo è un esperto di problematiche relative alla disabilità visiva e, oltre che formare le figure parentali e indirizzare l’insegnante di sostegno, fornisce degli ausili indispensabili alla buona prosecuzione del percorso di apprendimento del bambino, come pc con sintesi vocale, righello con segni tattili in corrispondenza dei centimetri, cartine geografiche a rilievo e mappe tattili di varie opere d’arte.

Tanti sono i suggerimenti dati dalla dottoressa Ranauro e questo articolo non può contenerli tutti. Si rimanda perciò alla lettura del prossimo articolo sulla disabilità visiva.

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