La Santa Sede, pur avendo appoggiato il lavoro preparatorio, non hai mai aderito al trattato internazionale in vigore dal 2008. Il blogger Matteo Schianchi: “Nel nuovo clima portato da papa Francesco, c’è spazio per quella ratifica?”
La nuova “stagione” nata con l’elezione di papa Francesco porterà con sé anche la ratifica, da parte del Vaticano, della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità? A chiederlo, nel blog “La terza nazione del mondo”, ospitato dal portale dell’Inail dedicato alla disabilità SuperAbile.it, è lo scrittore e saggista Matteo Schianchi. “In questa fase di fervore mediatico che circonda la sua figura e dati alcuni passaggi non solo di immagine di Papa Francesco, anche ad una persona laica come me verrebbe in mente di chiedere se, in questo nuovo clima, non fosse possibile la ratifica da parte del Vaticano della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità”. Il riferimento è al testo approvato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2006, entrata in vigore nel maggio 2008 e a tutt’oggi ratificata da 134 paesi in tutto il mondo. Si tratta del primo, grande trattato sui diritti umani del ventunesimo secolo, ed è il risultato di un lungo lavoro volto a tutelare i diritti di 650 milioni di persone disabili in tutto il mondo. “Sarebbe – scrive Schianchi – un gesto auspicabile, significativo, dall’alto valore simbolico”, giacché “la Convenzione Onu è una delle formulazioni migliori di cui disponiamo oggi dei temi della disabilità”.
“Sappiamo bene – continua il saggista – che non è certo un testo, per quanto così importante, a cambiare la realtà della disabilità né in Italia, né nel resto del mondo (ricordiamoci della disabilità di altri paesi ed è anche a loro che il Papa può parlare); sappiamo però che si tratta di uno strumento utile ad indirizzare l’attenzione politica e culturale attorno alla disabilità verso nuovi lidi fatti di diritti e di stato sociale, e non di pietismo e beneficenza”. “Per questo, la ratifica della Convenzione – conclude Schianchi – non è solo un gesto formale, ma operativo: un passo necessario, non sufficiente, ma necessario”. La mancata firma della Santa Sede al testo della Convenzione fu spiegato all’intera Assemblea Onu nel dicembre 2006 dall’osservatore permanente Celestino Migliore, posizione poi confermata più volte nel corso degli anni successivi. La “pietra dello scandalo” è il riferimento, all’interno dell’articolo 25, ai “diritti sessuali e riproduttivi” (sexual & reproductive health), una locuzione che almeno dai tempi della Conferenza sulla popolazione del Cairo (era il 1994) viene utilizzata, secondo le varie interpretazioni, per indicare anche il ricorso all’aborto. “La protezione dei diritti, della dignità e del valore delle persone con disabilità rimane – aveva spiegato Migliore – una delle preoccupazioni e dei capisaldi dell’azione della Santa Sede, e la Convenzione contiene molti articoli utili al riguardo, ma nonostante questo la Santa Sede non è in grado di firmarla”. E definitva “tragico” che “la stessa Convenzione creata per proteggere le persone con disabilità da tutte le discriminazioni riguardo all’esercizio dei loro diritti possa essere usata per negare il basilare diritto alla vita delle persone disabili non ancora nate” (nel caso di “imperfezione del feto” e di ricorso all’aborto). A chi, come la Fish (Federazione italiana superamento handicap), faceva notare che la Convenzione poteva comunque essere sottoscritta apponendo una specifica riserva scritta su quel particolarepassaggio del testo, il cardinale Lozano Barragán, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, spiegava che la ratifica delle convenzioni internazionali ha per il Vaticano un doppio significato: quello di “assumere obblighi giuridici che impegnano lo Stato della Città del Vaticano” e quello di “offrire un sostegno morale allo strumento giuridico nel suo insieme, di fronte alla Chiesa universale ed agli uomini di buona volontà”. Poiché “le riserve apposte ad un Trattato hanno valore esclusivamente per lo Stato che le formula”, Lozano Barragan affermava che la loro eventuale apposizione sarebbe valsa esclusivamente per gli obblighi giuridici dello Stato della Città del Vaticano, e che firmare la Convenzione sarebbe comunque equivalso ad offrire “cauzione morale all’insieme del testo giuridico, acconsentendo a che altrove, rispetto allo Stato della Città del Vaticano, l’articolo 25 venga applicato con criteri diversi, comprensivi, addirittura, dell’accesso all’aborto”. E concludeva affermando che “nei casi in cui esistano serie obiezioni sui contenuti di parti di un Trattato, solo la non adesione può esprimere pienamente il doppio aspetto, giuridico e morale, della posizione della Santa Sede”. Questioni giuridiche e morali molto sottili dunque, che di fatto hanno impedito finora che alle 157 firme e alle 134 ratifiche alla Convenzione giunte da ogni parte del pianeta si potesse aggiungere anche quella del Vaticano. A distanza di oltre sei anni da quella decisione, c’è forse spazio, oggi, per riconsiderare quella posizione?
(superabile.it)
di Giovanni Cupidi