Autismo nei bambini, iCub: la riabilitazione si fa con un robot

iCub, il robot umanoide di Iit Genova, è entrato nel Centro Boggiano Pico dell’Opera Don Orione con un protocollo clinico specifico. E i risultati della sperimentazione hanno dimostrato un aumento delle competenze sociali nei piccoli

Sarà che i «tratti somatici» di iCub e il modo di muoversi somigliano molto a quelli di un bambino. Sta di fatto che il robot umanoide dell’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT ha ispirato subito simpatia e fiducia ai piccoli pazienti (anche ai loro genitori) tra i 5 e i 6 anni con disturbo dello spettro autistico impegnati in un programma di riabilitazione nel Centro Boggiano Pico, polo specializzato nel trattamento dei disturbi del neurosviluppo dell’Opera Don Orione di Genova.

Così l’utilizzo di iCub all’interno di un vero e proprio protocollo clinico si è dimostrato efficace, come spiegano in un articolo pubblicato sulla rivista Autism Research i ricercatori del laboratorio Social cognition in Human-Robot Interaction, coordinato da Agnieszka Wykowska dell’IIT, e del Centro Boggiano Pico.

Che cos’è il disturbo dello spettro autistico

Il disturbo dello spettro autistico è un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo che esordisce nel corso dell’età evolutiva, caratterizzato da deficit comunicativi e nell’interazione sociale. Sulla base delle ricerche epidemiologiche condotte a oggi, l’autismo colpisce tra l’1% e il 2% della popolazione mondiale. In Italia, le persone interessate dall’autismo sono tra le 600 mila e 1 milione e 200 mila.

Almeno 4.000 individui sui 393 mila nuovi nati nel 2022 nel nostro paese, saranno probabilmente diagnosticati nel corso della loro età evolutiva. La collaborazione tra IIT e l’Opera Don Orione è cominciata nell’ottobre del 2020, con l’obiettivo di mettere la tecnologia più avanzata al servizio della società in un contesto clinico di riabilitazione.

Il robot iCub di Iit Genova impegnato in una seduta con una bimba
Il robot iCub di Iit Genova impegnato in una seduta con una bimba e la dottoressa Federica Floris del Centro Boggiano Pico dell’Opera Don Orione (Foto Iit)
Che cosa fa iCub durante le sedute

La prima parte della sperimentazione si è conclusa nell’autunno 2021 e ha coinvolto un gruppo di 45 bambine e bambini già inseriti nel percorso terapeutico del Centro Boggiano Pico, che hanno interagito con il robot iCub facendo una serie di giochi allo scopo di sviluppare le loro competenze sociali. L’attività svolta con i bambini e le bambine è stata ideata appositamente dal team di Wykowska e dall’equipe del Centro Boggiano Pico per rendere l’interazione tra robot e bambini semplice, sicura ed efficacie.

Durante la seduta, iCub affianca i terapeuti nell’attività clinica classica e interagisce in base alle competenze esclusive di ogni bambino. Nello specifico, nel corso del training il robot manipola un cubo in gommapiuma con un’immagine diversa su ogni faccia, mentre il bambino viene stimolato a mettersi nei panni di iCub e a identificare l’immagine osservata dal robot, allenando così la competenza a immedesimarsi nel punto di vista dell’altro.

Gli effetti concreti della riabilitazione

Le persone nello spettro autistico possono infatti avere difficoltà a empatizzare e a comprendere il punto di vista altrui, abilità alla base di molte competenze sociali fondamentali che le persone cosiddette neurotipiche acquisiscono spontaneamente nel corso della crescita, ma che nelle persone con autismo potrebbero risultare alterate e possono essere allenate con la terapia. I risultati di questa prima sperimentazione indicano un aumento delle competenze sociali nelle bambine e nei bambini coinvolti nella riabilitazione con iCub, tra i primi robot umanoidi a essere entrato in un centro clinico con un protocollo riabilitativo proprio.

«La robotica riabilitativa non è nuova, ma spesso viene fatta in laboratorio, non in contesto clinico, e consiste in brevi interazioni che non vengono ripetute nel tempo. In questo caso invece, le attività con iCub sono state armonizzate con i protocolli riabilitativi tradizionali previsti per i bambini coinvolti, e svolte con continuità per un periodo di due mesi» spiega Davide Ghiglino, ricercatore IIT e primo autore dello studio. «È stata allestita una stanza apposita presso il centro Boggiano Pico, e le attività col robot avvengono in armonia con i protocolli riabilitativi tradizionali. In questa integrazione sta l’unicità della nostra attività: una tecnologia avanzata viene armonizzata ad un contesto sanitario, e dotata di un protocollo definito da ricercatori e operatori sanitari», aggiunge.

Piattaforma usata a scopo di ricerca

Che cosa significa? Che d’ora in poi iCub fa parte del percorso riabilitativo offerto, a tutti gli effetti? « iCub è una piattaforma prototipale, ed è ad oggi ancora utilizzato a scopo di ricerca — spiega Ghiglino —. Per essere “offerto”, un servizio sanitario/assistenziale deve essere riconosciuto dalle autorità competenti. Noi “offriamo” (nel senso che assieme al Centro Boggiano Pico “promuoviamo”) l’attività sperimentale (autorizzati dalla commissione etica locale) a qualsiasi famiglia che voglia provare il protocollo e sia già coinvolta nei percorsi assistenziali pubblici locali».

Interagire con un robot umanoide è più naturale

Il gruppo di ricerca ha osservato che nei bambini autistici c’è una naturale tendenza a interagire con i robot umanoidi. Interagire con un altro essere umano potrebbe inoltre fornire una quantità di stimoli troppo elevata e difficile da interpretare per individui con diagnosi di autismo. iCub permette di superare questa problematica perché in grado di frammentare un comportamento umano complesso in molte parti e ripeterne solo alcune, in modo da ridurre gli stimoli forniti al soggetto.

«È importante sottolineare il potenziale delle tecnologie come nuovi strumenti al servizio dei terapeuti, che restano in ogni caso centrali in ogni percorso riabilitativo — dice Agnieszka Wykowska —. La progettazione di attività collaborative tra bambino e robot consente al terapeuta di esplorare nuove tecniche di intervento, immersive e coinvolgenti, attraverso le quali il bambino può sperimentarsi in prima persona».

Il prossimo passo: andare in pizzeria o in gelateria

«Il robot non sostituisce in alcun modo l’attività umana che il terapista svolge con i bambini — sottolinea Federica Floris, psicologa e coordinatrice del progetto per l’Opera Don Orione —, ma le ricerche da noi svolte dimostrano che può essere un efficace ed ulteriore strumento di supporto all’équipe . soprattutto nel potenziamento di comportamenti che possono favorire lo sviluppo di competenze sociali fondamentali nella quotidianità. Nei prossimi anni – continua Floris – l’obiettivo è sviluppare nuovi protocolli che possano lavorare su competenze sociali sempre più complesse e specifiche, spendibili nei vari contesti di vita, come l’asilo, la scuola, il parco giochi e la famiglia».

Il prossimo passo, già in corso di svolgimento, è la creazione di nuovi training riabilitativi in setting che simulano ambienti e circostanze specifiche, per esempio una pizzeria o una gelateria, dove il bambino può allenare competenze sociali specifiche che possono poi essere replicate in contesti di vita quotidiana.

La reazione di bambini e famiglie

L’esperimento sembra aver entusiasmato sia i bambini, sia le famiglie. «Tutti i bambini hanno accolto con curiosità il robot , molti continuano a chiedere quando potranno giocare nuovamente con iCub anche al termine del protocollo in cui sono stati coinvolti — racconta Ghiglino —. Da un punto di vista qualitativo, tutti i bambini coinvolti sono stati partecipi (ovviamente il primo impatto è l’entusiasmo della novità, ma anche a distanza di mesi l’interesse è rimasto molto alto). Ricordiamoci che stiamo parlando di uno spettro molto ampio, molti bambini che partecipano non sono verbali, ma anche dalle restituzioni del personale e delle famiglie erano tutti molto soddisfatti».

E i genitori? «In linea generale in tutti gli incontri svolti con i genitori la risposta è stata positiva. Alcuni genitori hanno riportato aneddoti al personale sanitario relativi a restituzioni che bambini solitamente non comunicativi facevano in casa dopo aver giocato con il robot. La proposta comunque è stata accolta con interesse, noi coinvolgiamo i bambini solo dopo aver spiegato ai genitori in cosa consistono le attività, e al momento tutte le famiglie a cui è stato chiesto di partecipare hanno acconsentito».

La storia di Chiara

Chiara (il nome è di fantasia) è una bambina di 10 anni con diagnosi di disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento, e dal 2017 è in carico presso il Centro Boggiano Pico, polo specializzato nel trattamento dei disturbi del neurosviluppo dell’Opera Don Orione. Chiara, che in particolare manifesta difficoltà a stabilire relazioni e a condividere le proprie emozioni, ha iniziato il suo percorso riabilitativo con trattamenti di logopedia e di neuropsicomotricità, e al momento partecipa ad attività psicoeducative.

Chiara è stata coinvolta nel training con iCub sin dal principio. In termini quantitativi, i test condotti su Chiara post training dimostrano un importante e costante miglioramento nell’ambito della Teoria della Mente (la capacità di attribuire stati mentali a se stessi e agli altri), mentre dal punto di vista qualitativo il training con iCub ha avuto ricadute positive sulla capacità di Chiara di condividere le proprie esperienze con gli altri, quindi sulle competenze di relazione.

E così la pensa la mamma di Chiara: «Da quando abbiamo avuto la diagnosi abbiamo cercato di stimolare Chiara il più possibile. Abbiamo iniziato subito con le terapie, logopedia e psicomotricità e abbiamo integrato con più attività possibili come sport, musicoterapia e gite. Per questo motivo abbiamo accettato di partecipare allo studio, più esperienze fa Chiara e più migliora».

Come ha reagito la bimba? «Chiara ha reagito subito con molto entusiasmo e curiosità. Dopo ogni incontro con iCub Chiara ha voglia di raccontare cosa ha fatto con il robot. Per lei è un nuovo amico da imparare a conoscere, gli fa sempre tante domande. Per Chiara è difficile mettersi nei panni degli altri, capire il punto di vista e le emozioni, con iCub tutto questo le risulta più semplice. Chiara è migliorata molto nell’interazione con i suoi amici e compagni».

Alla luce dei risultati ottenuti, ritiene che l’interazione con un robot come iCub possa diventare una terapia? «Io credo che per quanto riguarda l’autismo, ci sia ancora tanto da capire e quindi trovo giusto che la ricerca spazi in vari campi. In questo caso, penso che per un bambino/ragazzo, con un disturbo dello spettro, interagire con un robot sia più facile, meno stressante: anche se iCub ha un bel viso e due begli occhioni, mantenere lo sguardo è facile. Quindi in base alla nostra esperienza, credo che l’interazione con un robot come iCub possa essere di grande aiuto nella terapia. È un allenamento per poter poi interagire con gli altri». (corriere.it)

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