Doveva essere una bandiera di civiltà e invece affonda nella burocrazia
Sono passati ben cinque anni dall’approvazione della legge “Dopo di noi” (qui il testo), fiore all’occhiello del fu governo guidato da Matteo Renzi. Refrain attuale del Partito democratico rispetto alla propria virtuosa politica in tema di pari opportunità e riconoscimento dei diritti di coloro – in Italia 3,2 milioni – diversamente abili.
L’obiettivo della legge, ricordiamolo, è quello di garantire l’autonomia delle persone con disabilità per evitare che alla morte dei genitori (o di coloro che se ne occupano) queste siano prese in carico dalle Rsa, realtà ben lontane da un contesto percepito come “familiare” e che consenta loro di esprimere pienamente le proprie potenzialità.d
Assunto di base è infatti che la disabilità non sia una malattia ma una condizione e che, in virtù di questo, i disabili non siano destinatari passivi delle misure socio-assistenziali ma protagonisti attivi della società e del circuito produttivo quando possibile. Tutto molto bello e importante, certo. Ma come stanno davvero oggi le cose in Italia dopo l’entrata in vigore della legge?
TROPPI INVISIBILI
Dei 130mila disabili aventi diritto al sostegno che il “Dopo di noi” dovrebbe garantire, solo 6mila hanno potuto accedere ai progetti. Numeri che impressionano ulteriormente se si pensa che parte di coloro che pur avendo diritto non gode della protezione della legge sparisce di fronte al sistema sanitario nazionale acquisendo il doloroso status, ben lontano da qualsiasi forma di tutela, di “invisibile”.
Perché accade questo? Non solo perché le risorse continuano ad essere esigue ma perché, quando stanziate dall’apposito Fondo governativo, non vengono indetti bandi dalle amministrazioni e chi ha tentato di attivare i progetti – associazioni e famiglie – segnala difficoltà enormi nell’avviare anche solo il dialogo con gli enti pubblici che risultano completamente impreparati ad affrontare la questione.
Nella risposta a queste enormi problematiche si ha, come sempre accade, una forte differenziazione tra regioni. l sud sembra arrancare maggiormente rispetto al resto del Paese nel creare soluzioni abitative di convivenza assistita che garantiscano una vita dignitosa alle persone con disabilità.
SOSTEGNI FARSA
Ben 600mila persone continuano per questa incapacità politico-amministrativa a vivere in una condizione di grave isolamento senza alcuna rete su cui poter contare in caso di bisogno. E tra queste ve ne sono ben 200mila che vivono completamente da sole.
Il numero di alloggi collettivi finanziati dal 2016, anno dell’entrata in vigore della legge, è imbarazzante: 380 alloggi con un potenziale abitativo di non più di 5 ospiti ciascuno. E a questa incresciosa situazione si aggiunge, secondo un recente studio, il problema dei caregiver (supporti informali) che risulterebbero avere un’aspettativa di vita inferiore rispetto alla media a causa del significativo stress nell’assistere un parente disabile e che dovrebbe per questo motivo godere di specifiche tutele sul lavoro con garanzie di prepensionamento.
Insomma, una fotografia ben lontana dalla retorica piddina in tema di pari opportunità e che restituisce l’urgenza di intervenire concretamente in materia di disabilità affinché queste persone – i cui diritti devono essere riconosciuti – non siano i soliti specchietti per allodole da utilizzare in campagna elettorale o offerto di qualche leggina “spot” che resta lettera morta consentendo, però, di poter dire al politico di turno in qualche comodo salotto televisivo di aver fatto qualcosa di utile alla causa. Che la politica restituisca un volto a questi troppi “invisibili” e smetta di usarli per il proprio interesse.
(lanotiziagiornale.it)