Il presidente del Consiglio indica la via del “voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia”. Per le associazioni impegnate nella promozione della vita indipendente ci sono luci e ombre: “I progetti devono essere personalizzati e mantenere una rete di relazioni” (RED.SOC.) ROMA – Positiva la strada del voucher ma a due condizioni: l’importo deve essere personalizzato e il sistema deve prevedere un contesto di servizi e di rete che evitino l’isolamento sociale della persona. E’ questo uno dei pensieri dominanti, fra le associazioni delle persone con disabilita’, rispetto alla proposta presentata dal presidente del Consiglio Matteo Renzi nelle sue “Linee guida per una riforma del terzo settore”. Una delle 29 azioni (e’ la numero 26) indicate dal premier riguarda proprio la previsione di una “disciplina sperimentale del ‘voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia’, come strumento di infrastrutturazione del ‘secondo welfare’”. Un riferimento, quello al “secondo welfare”, che riguarda quei programmi di protezione e di investimento sociale che si aggiungono e si intrecciano a quelli del “primo welfare” (di natura esclusivamente pubblica) e che ne integrano le funzioni, in particolare dal punto di vista della copertura e della tipologia di servizi offerti. Con un ruolo attivo e fondamentale ricoperto da una vasta gamma di soggetti fra cui imprese, terzo settore, enti locali e sindacati. La proposta di Renzi riguarda l’intero settore dei “servizi alla persona e alla famiglia”, e pertanto assorbe un orizzonte piu’ ampio rispetto a quello delle esigenze specifiche delle persone con disabilita’. Le quali, pero’, rappresentano comunque un’ampia fetta dei possibili destinatari della misura. “Ma – ammonisce Silvia Cutrera, presidente dell’Agenzia per la Vita Indipendente (AVI) di Roma – ogni tipo di intervento destinato alle persone con disabilita’ deve essere legato non solo ai bisogni assistenziali ma anche alle esigenze di relazione della persona”. Cutrera, che e’ vicepresidente della Fish (all’interno della quale cura in particolare il gruppo di lavoro su politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella societa’) specifica che la bonta’ della misura dipendera’ inevitabilmente da tre fattori: “quanto, a chi e per quale ragione”. Cioe’, a chi sara’ dato il voucher, a quanto ammontera’ e quale sara’ il requisito per averlo. “Nonostante la Convenzione Onu – dice – le persone disabili sono ancora oggi considerate oggetto di cura: il voucher in genere soddisfa l’assistenza nuda e cruda, cioe’ i bisogni essenziali della persona, ma in un’ottica di vita indipendente andrebbe considerato anche cio’ che serve a partecipare attivamente alla vita di societa’”. Un disabile gravissimo ha un bisogno che si stima in migliaia di euro, ma anche chi ha una disabilita’ piu’ lieve ma vive ad esempio in un contesto sociale particolarmente difficile (ad esempio in una citta’ con trasporto urbano totalmente inaccessibile) puo’ aver bisogno di cifre alte per poter vivere un’inclusione sociale. Insomma, non conta solo la situazione personale della persona, ma anche il contesto di vita. Il particolare dei requisiti non e’ affatto di secondo piano, come fa notare anche Germano Tosi, dell’associazione Consequor e di Enil, il Network europeo per la vita indipendente: oggi, spiega, ci sono un numero elevatissimo di situazioni che rientrano nella definizione di “persona con handicap con connotazione di gravita’” (art. 3 comma 3, Legge 104/1992), ma ognuna di esse ha una sua specificita’ che potrebbe stridere con un sistema standardizzato per voucher. “In questo senso il voucher puo’ essere pericoloso e fa sorgere dei dubbi, meglio sarebbe un sistema in cui ogni persona con disabilita’ possa scrivere il proprio progetto di vita e sulla base di quella decisione ricevere l’emolumento che gli spetta”. Personalizzazione, dunque, e non standardizzazione: non importi uguali per tutti, con somme prestabilite e tutte uguali (o differenziate in due o tre fasce), ma massima considerazione dei percorsi di vita personali. E’ d’accordo anche Silvia Cutrera: “Che lo si chiami voucher, pagamento diretto o in qualunque altro modo, fondamentale e’ l’aspetto della personalizzazione che gia’ e’ molto sviluppato nei progetti che in alcune realta’ territoriali sono da tempo attivi”. Esperienze, come quelle della Sardegna, del Piemonte o della stessa citta’ di Roma, che “ormai non sono progetti, ma pratica consolidata”. A Roma, ad esempio, viene fatta una rilevazione sui bisogni delle persone, con un progetto personalizzato che quantifica un budget poi erogato direttamente alla persona: con obbligo di puntuale rendiconto mensile al municipio, la persona usa i fondi per pagare l’assistenza personale (secondo le regole del contratto nazionale assistenti familiari). In ogni caso, e’ importante garantire alla persona un contesto di relazione: cio’ che fanno, ad esempio, i Centri per la vita indipendente di AVI: sono centri gestiti da persone disabili che lavorano sull’autodeterminazione di altre persone disabili, dando assistenza anche amministrativa nella gestione dei voucher o degli altri contributi per contrattualizzare i propri assistenti personali; strutture che, al contempo, riescono a mantenere la persona all’interno di un contesto di comunita’, contrastando l’isolamento e la solitudine. Un’azione importante eppure difficile che – dice Cutrera – meriterebbe di essere rafforzata. Piu’ che mai positivo, da questo punto di vista, che le Linee Guida presentate da Renzi indichino anche (punto numero 6) la necessita’ di un aggiornamento della legge 328/2000 per assicurarsi “la collaborazione degli enti non profit alla programmazione e non solo all’esecuzione delle politiche pubbliche”. Il che significa nuovi criteri e nuova modalita’ operative nella programmazione e nella gestione dei servizi sociali, con un riconoscimento forte delle realta’ che facilitano il mantenimento di un contesto di relazione e socialita’. (redattoresociale.it)