Disabili, la venticinquesima ora di chi li assiste

Il lavoro invisibile e l’assenza di ogni aiuto da parte delle pubbliche autorità per i caregivers familiari, le migliaia di persone impegnate a tempo pieno nell’assistenza di persone care non autosufficienti. Coloro i quali si dedicano a pazienti con demenza sono la grande maggioranza. Si tratta in genere di donne (74%), di cui il 31% di età inferiore a 45 anni

Il lavoro invisibile dei caregivers –  l’ennesimo termine anglosassone che indica “colui che si prende cura”, che assiste un congiunto ammalato e/o disabile – che si dedicano ai pazienti con demenza, sono la grande maggioranza. Si tratta in genere di donne (74%), di cui il 31% di età inferiore a 45 anni, il 38% di età compresa tra 46 e 60, il 18% tra 61 e 70 e ben il 13% oltre i 70.

Una vergogna tutta italiana. Sono uomini e donne che si assumono, per amore, l’impegno di assistere un familiare non autosufficiente.  Una mole di lavoro e di sostegno che  l’Italia, unico tra i paesi europei, non riconosce né tutela. Pur avvalendosene nel vuoto dei servizi e delle prestazioni, nell’esiguità e risibilità delle provvidenze, con un risparmio di circa 10 miliardi di euro (sarebbe interessante calcolare quanto la perdita di produttività dei familiari incida sul PIL). Un caregivers,  in caso di disabilità grave, vive una realtà che pochi riuscirebbero a tollerare. Unico ritorno, altissimo, un amore che nessuno immagina, ma che non basta a preservare dall’usura e dalla povertà.

Un impegno totalizzante anche se si è malati.Sì, perché assistere un familiare non autosufficiente non prevede retribuzione, contributi, riposo o giorni di malattia, neppure quando diventa così totalizzante da comportare il licenziamento dall’occupazione ufficiale. Neppure quando chi assiste ha bisogno a sua volta di curarsi. La pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento (erogate solo quando c’è una disabilità certificata al 100%), oltre ad prevedere somme ridicole, sono destinate solo alla persona, non alla famiglia, che ha anche altri bisogni oltre a quelli di cura del suo componente più debole.

Una giornata-tipo del caregiver. “Una lavoro che dura 25 ore – spiega Chiara  Bonanno, promotrice del movimento mai più soli – la venticinquesima è quella inesistente in cui si dovrebbe mangiare e prendersi cura di sé”. Un caregiver vive solo in funzione della persona che assiste. La qualità della sua vita diventa via via sempre meno sostenibile, con un deterioramento di tutti gli aspetti: il lavoro, la salute, la vita privata e, se ci sono altri figli, anche la famiglia. Spesso il lavoro viene abbandonato, la salute declina, anche per mancanza di sonno: gli amici si allontanano. Le famiglie cadono nell’indigenza, fino a dover chiedere aiuto ad enti assistenziali e religiosi. Un aspetto da non trascurare è che il caregiverspesso è una donna, non di rado sola, sia per l’elevato numero dei divorzi – la tenuta della famiglia a volte è ancora più bassa nelle situazioni dove il dolore è quotidiano – o perché spesso, al compiere della maggiore età, il dovere morale di assistenza viene bellamente trascurato da uno dei coniugi.

Forme di schiavitù moderna. Lo Stato si approfitta di queste donne, di questi uomini, sottoponendo tutti  ad un vero e proprio regime di schiavitù moderna, che viene spacciata come dovere morale, senza pensare che per costoro curare i propri cari è un diritto, e  che condizioni più umane sono la garanzia di poter continuare a esercitarlo. “Sono stata ricoverata per 15 giorni – racconta una donna – mio figlio disabile psichico sarebbe rimasto solo, se mia madre ottantenne non si fosse recata tutte le sere a somministragli le medicine e dormire con lui. In altri Paesi, come la Romania, il famigliare può scegliere un altro parente che faccia le sue veci, che viene assunto e pagato dallo Stato. In Italia non possiamo ammalarci, figuriamoci prenderci qualche giorno di riposo”.

Non siamo “badanti”. “Non vogliamo essere assunti come badanti o cose del genere. Vogliamo essere tutelati. Vogliamo assistenza notturna, quando il nostro impegno è sulle 24 ore, la garanzia di poterci ammalare e avere una sostituzione, un accesso ad una pensione dignitosa, nel caso in cui sia necessario lasciare il lavoro”, aggiunge la signora Chiara. La legge 104 o i due anni di aspettativa-garantite, del resto, solo dal settore pubblico, non bastano per chi ha una persona non autonoma in famiglia. “Chiediamo – secondo quanto sancito da una sentenza europea del 2008, aggiunge le donna – un percorso preferenziale nelle assunzioni, come categoria di lavoratori protetti”. D’altra parte, la stessa Corte di Giustizia europea ha stabilito che il divieto di discriminazione per ragioni di disabilità si applica non solo alla persona interessata, ma anche a chi l’assiste. In molti Stati, del resto, sono già previsti benefit e contributi previdenziali per i caregiver.

In Italia il caregiver muore. Muore di stanchezza. Muore di indifferenza. “Nel 2009 la ricercatrice Elizabeth Blackburn ha vinto il Premio Nobel per la Medicina con uno studio che ha scientificamente dimostrato come lo stress al quale sono sottoposti i caregiverfamiliari riduca le loro aspettative di vita dai 9 ai 17 anni, rispetto al resto della popolazione”. Lo denuncia un passo della lettera scritta dalla mamma di una ragazza disabile, Maria Simona Bellini,  presidentessa del coordinamento familiari dei disabili, al Presidente della Repubblica Mattarella, in forma di richiesta di ‘grazia’, per tutti i caregivers italiani.

Nessun rispetto per i diritti fondamentali. Una lettera che chiede il rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone che tanto si impegnano per i loro cari e per la società tutta. Anche perché il dovere di presa in carico dovrebbe spettare a tutta la collettività, come accade nei Paesi più civili. “Ma averlo reso noto a più riprese al potere legislativo e a tutte le istituzioni coinvolte non ha sortito alcuno di quegli effetti che sarebbero stati considerati doverosi altrove. Nè è stato previsto il loro inserimento tra le categorie salvaguardate dalla Riforma Previdenziale che ha invece esteso il loro impegno lavorativo, a cui si aggiunge quello di cura svolto per il proprio familiare”.

La minaccia del ricovero in un istituto. Se la famiglia non ce la fa, dà mostra di cedimento, allora la minaccia è l’istituzionalizzazione. Lo Stato così avaro nell’erogazione di servizi, assistenza, tutele e sussidi, è pronto a stanziare fondi per la residenze sanitarie, dove un solo giorno costa, a persona, circa 700 euro. Perché? “Pensare al dopo di noi è assurdo – spiega un familiare – se non si parla del durante. Se non si pensa a garantire l’assistenza ai familiari, la possibilità anche di fondi per la cura e, se possibile, l’inclusione. Altrimenti i familiari sono condannati a un “dopo” prematuro che spesso può comportare una vera e propria deportazione negli istituti per chi resta”.

Una petizione al Parlamento europeo. Così i familiari dei disabili si sono riuniti in associazione e hanno depositato una petizione al Parlamento europeo perché apra una procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto dei diritti umani. “Da vent’anni ci battiamo per il riconoscimento di tutele previdenziali, sanitarie e assicurative, che consentano al caregiver familiare l’accesso a diritti fondamentali, come quello al riposo o alla salute  –  sottolinea la Bellini

Dove invece c’è tutela per i caregivers In Germania  il sistema sanitario-assicurativo dà diritto a chi assiste un familiare disabile a contributi previdenziali garantiti, se l’assistenza supera le 14 ore alla settimana, e a una sostituzione domiciliare in caso di malattia. Forme di assicurazione contro gli infortuni e di previdenza sono concesse anche ai caregiverfrancesi, che in diversi casi hanno diritto pure a un’indennità giornaliera, e a quelli spagnoli, che continuano a recepire contributi anche in caso di interruzione del proprio lavoro. Persino la Grecia dà diritto, al caregiver familiare, al prepensionamento dopo 25 anni di contributi versati.

Al danno s’aggiunge la beffa. La mancanza di attenzione dello Stato italiano, la si evince anche dall’ultima ingiustizia, che i caregivers familiari hanno dovuto affrontare. L’aggiornamento degli indicatori ISEE aveva computato tra i redditi della famiglia anche indennità e pensioni riconosciute a persone non autosufficienti: “Con grave disagio – scrive Maria Simona Bellini nella lettera al Capo dello Stato – un gruppo di cittadini, prevalentemente persone con disabilità e caregiver familiari, ha pertanto promosso un ricorso contro questo iniquo provvedimento giungendo ad alcune sentenze, recentemente pronunciate dalla Magistratura, che hanno dato loro ragione ma che, nella loro ormai estrema arroganza, le istituzioni italiane stanno volontariamente ignorando come se anche la Giustizia, nel nostro Paese, non fosse più un punto di riferimento importante per tutti ma un mero organo consultivo le cui decisioni possono essere o meno rispettate dallo Stato”.

L’appello al Presidente Mattarella. “Chiediamo pertanto a lei, nostro Presidente della Repubblica, nella sua funzione di Garante della Costituzione italiana, che inserisca tra le sue priorità la promozione del riconoscimento delle tutele minime dei caregiver familiari  –  quali quelle sanitarie, previdenziali ed assistenziali  –  in considerazione del lavoro di cura che essi somministrano quotidianamente e senza soluzione di continuità pur senza accesso a ferie, riposo notturno garantito, festività e nemmeno alla possibilità di ammalarsi.”
(repubblica.it)

di Giovanni Cupidi

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