Domani si celebra in tutto il mondo un giorno per sensibilizzare e riflettere su una patologia verso la quale non bastano più soltanto provvedimenti di assistenza. Il Light it up blue: una luce blu che accende i più famosi monumenti del mondo: la Piramide di Cheope, l’Empire State Building, l’Arco di Costantino, il David di Donatello, la Mole Antonelliana, Montecitorio
Il 2 Aprile ricorre la settima Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo, un momento di sensibilizzazione culturale e riflessione sulle peculiarità e i percorsi di vita delle persone autistiche. Per l’integrazione, contro l’isolamento e i pregiudizi che circondano le intelligenze atipiche. Light it up blue: una luce blu che accende i più famosi monumenti del mondo: la Piramide di Cheope, l’Empire State Building, l’Arco di Costantino, il David di Donatello, la Mole Antonelliana, Montecitorio, per citarne solo alcuni; e che vuole alimentare in tutta l’umanità la consapevolezza sulle caratteristiche, le difficoltà, i bisogni di coloro che vivono la condizione dello spettro autistico, una neurodiversità sempre più diffusa. Voluta dalle Nazioni Unite , la settima edizione della giornata vedrà snodarsi numerosissime manifestazioni: convegni, campagne di sensibilizzazione, flash mob (a Roma quello su autismo e lavoro, in piazza del Campidoglio), rassegne cinematografiche e proiezioni,- da segnalare il film di Carlo Zoratti “The special need” che ruota attorno al delicato tema dei diritti sessualì dei disabili, con la storia dolce amara di un adulto autistico e del suo desiderio di avere-come tutti- una relazione affettiva completa.
Per una cultura della neuro varietà. L’autismo è una condizione permanente sempre più diffusa: secondo una recente ricerca negli Usa colpisce 1 bambino ogni 68; in Europa soffrono di questa sindrome più di cinque milioni di persone di cui circa 680 mila in Italia. Le diagnosi sono aumentate di oltre il 30% in due anni. -L’incremento è dovuto prevalentemente a un affinamento dei metodi diagnostici- afferma il neuropsichiatra Riccardo Alessandrelli, co-fondatore dell’associazione CulturAutismo. “L’individuazione delle forme più lievi-afferma Alessandrelli- in virtù di risorse intellettive integre e particolari talenti, ha portato a una lettura della sindrome in senso maggiormente funzionale e evolutivamente favorevole, con la definizione di “Condizione di Spettro”, contrapposta a quella di malattia.
Le loro facoltà sono risorse. Questi individui – che pur avendo problemi nelle competenze relazionali riescono, se seguiti, ad assimilare le più importanti regole sociali – potrebbero tradurre le loro facoltà in potenziali risorse per loro stessi, ma anche molto utili alla collettività, se adeguatamente supportati da terapie congrue e compresi nella loro originalità; altrimenti vengono condannati alla dipendenza dalle famiglie di origine e alla deriva sociale. Un potenziale inutilmente sprecato”.
L’integrazione non è a senso unico. Se l’autismo è una vera e propria emergenza, vuol dire che milioni di persone, con stili cognitivi e percettivi diversi, devono dialogare con la maggioranza neuro tipica; ma “l’integrazione non è un processo a senso unico, una concessione da parte delle comunità più forti alle più deboli, ma un gioco dialettico di modellamento reciproco, in cui entrambi le parti vengono chiamate a interagire per realizzare un guadagno: morale, culturale, ma anche finanziario”, sottolinea la dott. ssa Cinzia Raffin, presidente della Fondazione Bambini autismo di Pordenone. “Nell’attuale organizzazione sociale e lavorativa tutto è orientato ad agevolare o aiutare le persone “diverse” ad adattarsi al mondo “normale”, senza che quest’ultimo debba minimamente attuare dei cambiamenti su di sé”, aggiunge la dottoressa. Spesso neppure in direzione di una maggiore conoscenza del problema
Un mondo per neuro-tipici. Terapie per raggiungere l’autonomia lavorativa familiare e affettiva. In un mondo fatto da e per neurotipici, vuol dire abbattere barriere che non sono solo ambientali o architettoniche. In Italia il modello prevalente rimane assistenzialistico e le responsabilità sono scaricate sulle famiglie. Inoltre, secondo Davide Moscone, presidente di Spazio Asperger, le stesse professioni sanitarie non hanno una adeguata conoscenza delle forme più lievi, come l’Asperger, spesso confuse con altre problematiche di tipo psichiatrico o proprie dell’età evolutiva, che possono tuttavia coesistere insieme alla diagnosi primaria. Spesso proprio perché la primaria non è stata precocemente riconosciuta e trattata. Altro dato sconfortante è la mancanza, nel pubblico, di interventi e i programmi indicati come specifici per l’autismo, di tipo cognitivo-comportamentale (ABA, TEACCH) e la CAA (comunicazione alternativa e aumentativa). Le famiglie, allora, se possono permetterselo, devono ricorrere a privati.
Autismo e lavoro: il modello di Pordenone. Il tema di autismo e lavoro è diventato per laFederazione Autismo Europa, il motto della campagna 2014: se è difficile che un ragazzo ‘neurotipico’ trovi un’occupazione, per un ragazzo rientrante nello spettro è quasi impossibile: di questi solo il 10% lavora dopo i 20 anni, un altro 10% frequenta la scuola o un corso di formazione; mentre ben il 50% si limita a frequentare un centro diurno dove si svolgono laboratori ludico ricreativi o di interesse culturale e il 21,7% sta a casa. Le tipologie di “inserimento lavorativo” presenti in Italia, quali i laboratori protetti e il collocamento mirato, regolato in Italia dalla legge 68/99, sono un quasi totale fallimento per le persone con autismo. Che nelle forme più lievi può non ricevere alcun riconoscimento di invalidità, visto che i soggetti hanno notevoli autonomie e un buon- a volte alto-livello cognitivo.
L’Officina dell’Arte. “Questi dati rappresentano la sconfitta, nei casi di autismo, dei modelli tradizionali di inserimento lavorativo e insieme una sfida cui aderire come dovere civile”, afferma la dottoressa Raffin. Gli sforzi non possono andare solo nella direzione della “normalizzazione” della persona autistica. La Fondazione Bambini autismo di Pordenone ha quindi realizzato un progetto pilota in cui lavoro, vita sociale, residenzialità si integrino proponendo ambienti e organizzazioni coerenti. Il progetto prevede l’Officina dell’Arte e un percorso di residenzialità: Vivi la città. Nell’Officina dell’Arte maestri mosaicisti formano sulle tecniche di lavorazione del mosaico, il personale sanitario forma i maestri mosaicisti sulle modalità più congrue di interagire con i lavoratori e aiutano quest’ultimi nell’apprendimento di abilità di interazione sociale. Come si può notare visitando il sito web dell’organizzazione si creano manufatti eccellenti, in un ambiente costruito su misura per le persone con autismo e in presenza di “colleghi di lavoro” non di “assistenti”. Durante le pause i lavoratori raggiungono la villa in cui risiedono e si distribuiscono i compiti. Al termine della giornata inizia il programma “Vivi la città” con tutto ciò che questo comporta in termini di integrazione (poter uscire o poter rimanere a casa, andare al pub, fare shopping, fare la spesa, cenare al ristorante.
(repubblica.it)
di Giovanni Cupidi