Disney e Pixar stanno ridefinendo la rappresentazione della disabilità nei film d’animazione, da Elio con ambliopia a Quasimodo, Nemo e John Silver. Un viaggio tra personaggi complessi e inclusivi che raccontano la disabilità senza stereotipi, con empatia e autenticità

Nel vasto e variegato universo dei film d’animazione Disney e Pixar, la rappresentazione della disabilità ha assunto negli anni una forma sempre più consapevole, sfaccettata e, soprattutto, rispettosa. Non si tratta più di relegare la diversità fisica o mentale a una funzione marginale, a una gag, o – peggio – a una punizione morale. La disabilità diventa parte integrante dell’identità di un personaggio, raccontata con delicatezza, ironia o potenza, senza mai ridursi a una semplice etichetta.

Con Elio Solis, 29° lungometraggio Pixar in uscita nel 2025, la casa d’animazione prosegue su questa strada virtuosa. Il protagonista, Elio Solis, è un ragazzino di undici anni con ambliopia, condizione che lo costringe a portare una benda sull’occhio. Una difficoltà visiva comune ma spesso invisibile nell’immaginario cinematografico, che qui viene inserita con naturalezza in una narrazione più ampia e ricca di significati: Elio, catapultato nello spazio da un fraintendimento intergalattico, si ritrova a dover rappresentare l’intera umanità. Una responsabilità enorme per un bambino che si sente spesso fuori posto sulla Terra, figuriamoci in mezzo agli alieni. Eppure, sarà proprio la sua capacità di osservare il mondo – anche con una visione “alterata” – a renderlo un ambasciatore unico, più empatico e meno stereotipato.

Elio Solis

Elio si inserisce in una galleria di personaggi Disney che, nel tempo, hanno contribuito a normalizzare la presenza della disabilità sullo schermo. Alcuni di questi sono protagonisti indimenticabili. Come Nemo, il piccolo pesciolino dalla “pinna fortunata”, che affronta l’oceano con una tenacia che va ben oltre i limiti fisici. Nemo non è definito dalla sua disabilità, ma è attraverso di essa che impara il valore del coraggio, della fiducia e dell’autonomia. E accanto a lui, in Alla Ricerca di Nemo, troviamo anche Dory, con la sua perdita di memoria a breve termine, e Pearl, una piovra con un tentacolo più corto. Nessuno di questi tratti è trattato con pietismo: sono parte del carattere dei personaggi, e talvolta anche della loro forza.

Lo stesso vale per un personaggio storico come Quasimodo, protagonista de Il Gobbo di Notre Dame, che, nel 1996, rappresentò uno dei primi tentativi Disney di affrontare in modo esplicito l’emarginazione legata alla disabilità. Quasimodo è affetto da ipercifosi, sordità e strabismo, e vive recluso nella cattedrale di Notre-Dame. Ma la sua diversità è al centro di un racconto che parla di bellezza interiore, discriminazione e desiderio di libertà. Il pubblico, attraverso gli occhi di Quasimodo, è chiamato a mettere in discussione la propria idea di “normalità”.

A colpire, nel percorso di Disney, è anche la varietà delle disabilità rappresentate: fisiche, sensoriali, cognitive, permanenti o temporanee. In Toy Story 2, il tenero Wheezy è un pinguino giocattolo con lo squeaker rotto e l’asma, simbolo di come un “difetto” possa portare all’esclusione, ma anche di come la solidarietà possa cambiare il destino di qualcuno.

Oppure pensiamo a John Silver, carismatico pirata de Il Pianeta del Tesoro. Con una gamba meccanica, un braccio multifunzione e un occhio elettronico, è una figura complessa: non è né eroe né completamente antagonista, ma un mentore ambiguo e pieno di umanità. La sua disabilità non è fonte di debolezza né di pietà, ma anzi rappresenta ingegno, adattamento e resilienza.

E che dire di Re Fergus in Ribelle – The Brave, il padre di Merida, che ha perso una gamba in battaglia e oggi porta una protesi. La sua disabilità è accennata, mai protagonista, ma contribuisce a definire un personaggio coraggioso e affettuoso, che trasmette valori senza bisogno di spiegazioni esplicite.

Un esempio interessante, e forse meno noto, è Hopper, il capo delle cavallette in A Bug’s Life. Cieco da un occhio, probabilmente a seguito di un incidente, la sua condizione non è al centro della trama ma è un dettaglio che aggiunge spessore alla sua personalità da antagonista, senza ricorrere a stereotipi sul “malvagio disabile”.

Nel mondo animale-animato di Oceania, invece, fa capolino Hei Hei, il gallo bizzarro e goffo che accompagna Vaiana. I suoi movimenti scoordinati, l’aria perennemente disorientata, hanno fatto pensare a molti che possa rappresentare – in chiave simbolica – un disturbo come la disprassia. Un’ipotesi interessante, che mostra come persino nei personaggi comici possa esserci spazio per un’inclusività non urlata, ma comunque significativa.

E ancora, i sette nani del primissimo classico Disney, Biancaneve e i sette nani, rappresentano una delle prime forme di inclusione nel cinema d’animazione. Sebbene legati a una visione un po’ datata, questi personaggi hanno comunque avuto il merito di introdurre in un contesto favolistico la varietà delle forme umane. Cucciolo, in particolare, è muto – o forse selettivamente silenzioso – e comunica soltanto con espressioni e gesti, anticipando una sensibilità comunicativa che oggi sarebbe letta con occhi diversi.

La forza di queste rappresentazioni non sta solo nella presenza fisica di una disabilità, ma nel modo in cui essa viene raccontata. Disney e Pixar hanno imparato col tempo a non trasformare la disabilità in un elemento definitorio o, peggio, in una metafora negativa. Al contrario, i personaggi portatori di disabilità sono sempre più protagonisti attivi, complessi, capaci di crescita e di influenzare positivamente la trama.

Questa evoluzione non è casuale. Negli ultimi anni, l’attenzione alla diversità e all’inclusività si è rafforzata grazie al dialogo con il pubblico, alle richieste delle comunità e al coinvolgimento di consulenti esperti. Il cinema, soprattutto quello per l’infanzia, ha una responsabilità enorme nel formare l’immaginario collettivo. Vedere un personaggio con una protesi, una difficoltà motoria, sensoriale o cognitiva rappresentato con dignità e valore, può fare la differenza nello sguardo di un bambino.

Ecco perché Elio è importante. Non solo per il coraggio di parlare di ambliopia, ma perché racconta un ragazzino con una vulnerabilità che non è debolezza. Elio è curioso, brillante, emotivo. Non è un supereroe, ma nemmeno un caso umano. È, semplicemente, un bambino. E il fatto che la sua storia venga raccontata da due registe donne, Domee Shi e Madeline Sharafian, aggiunge un ulteriore livello di sensibilità e complessità.

La strada dell’inclusione nel cinema d’animazione è ancora lunga, ma i segnali sono incoraggianti. La disabilità non è più solo sfondo o limite, ma diventa voce narrante, esperienza, prospettiva. E in un mondo che ha bisogno più che mai di empatia, questi personaggi – con le loro “pinna fortunata”, gamba artificiale o occhio coperto – ci ricordano che ogni diversità è una storia da raccontare. E da ascoltare.

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