PSICOLOGIA CLINICA E SESSUALITÀ DELLA PERSONA CON DISABILITÀ

Introduzione 

Fino ad alcuni decenni fa il discorso relativo alla sessualità nei soggetti portatori di handicap veniva considerato tabù e, di conseguenza, eluso dalla letteratura. 
Attualmente, al contrario, l’argomento viene affrontato con sempre maggiore frequenza, sia da parte degli operatori sia dai mezzi di comunicazione. Le ragioni di questo mutamento e dell’interesse crescente nei confronti di tale tematica possono essere molteplici. 
La prima ragione è la caduta di alcuni tabù sessuali e la “costante penetrazione nella coscienza sociale di una nuova sensibilità relativa ai diritti dei portatori di handicap, diritti che tendono, com’è giusto, verso il più possibile” (Ianes-Folgheraiter, in Dixon H. 1990, pag. 7). 
La seconda ragione può essere attribuita al fatto che la tematica relativa alla sessualità dei disabili sia diventata “di moda”, ovvero che “faccia tendenza”. A ciò ha contribuito indubbiamente il fatto che i due termini del discorso, “handicap” e “sessualità”, progressivamente “hanno subìto una particolare forma di censura che non ha comportato l’imposizione del silenzio, quanto piuttosto l’elaborazione di un nuovo linguaggio” (Pennella, 1997). 
La terza ragione può essere individuata nella crescente richiesta di formazione da parte dei genitori e degli operatori, che spesso si trovano ad affrontare direttamente il problema della psicosessualità dei portatori di handicap. 
La quarta ragione, strettamente correlata alla precedente, rimanda al fatto che i bisogni e i desideri sessuali delle persone con disabilità non possono più essere ignorate, sia per la maggiore espansione della coscienza del disabile sia per la crescente accettazione da parte della coscienza sociale. Ciò pone fortemente in discussione la presenza educativa e rieducativa dei genitori e degli educatori e richiede una imprescindibile riflessione sul loro ruolo e sulle modalità più adeguate per affrontare questo problema, nel pieno rispetto della dignità e dei diritti del disabile. La crescente domanda formativa ha naturalmente stimolato una altrettanto crescente offerta da parte degli esperti. Occorre però precisare che, nonostante si discuta da qualche tempo della relazione problematica fra handicap e sessualità, solo recentemente essa viene affrontata in modo serio e sistematico, anche in virtù del fatto che “l’incontro tra la psicologia e l’handicap e la moderna sessuologia è molto recente ed è legato essenzialmente a quei cambiamenti all’interno di queste discipline che hanno permesso di intravedere la possibilità di insegnare la sessualità in un’ottica non veramente assistenzialistica, ma piuttosto educativa nel senso più pregnante del termine” (Veglia, 1991 cit. in Fabrizi, 1997). 

Handicap e sessualità: una visione socioculturale

Fino ad alcuni anni fa, non molti per la verità, la dimensione della sessualità era negata alla persona disabile e i tentativi di risolvere il problema sono nati più dall’esigenza di fornire una soluzione immediata piuttosto che di affrontarlo in modo costruttivo, cioè considerando la sessualità e come mezzo per garantire il benessere attraverso una sempre maggiore affermazione e integrazione del soggetto handicappato. 
In particolare, le strategie adottate si risolvevano in interventi di tipo fisico (uso di psicofarmaci, legamento delle tube, ovariectomia per le donne ed evirazione per gli uomini), psicologico (punizioni, minacce, rinforzo di condotte sostitutive o compensatorie) o psicosociale (isolamento, impedimento di contatti con persone dell’altro sesso). Queste soluzioni si sono rivelate fallimentari per il fatto di trascurare la promozione del benessere degli individui e di misconoscere il diritto umano fondamentale anche della persona disabile di poter esprimere i propri bisogni psicosessuali. La notevole valenza ansiogena delle realtà considerate, l’handicap e la sessualità, giustifica in parte questo atteggiamento di negazione e di repressione e, nonostante la maggiore libertà verso la sfera sessuale, la difficoltà di gestire un fenomeno così complesso è tuttora presente. Genitori e educatori dei disabili, infatti, riescono con difficoltà ad accettare che una persona in situazione di handicap possa manifestare bisogni sessuali analoghi a quelli di una persona normodotata. Il disagio nell’accogliere la dimensione sessuale e la sua espressione nella persona disabile può essere imputato alla biologizzazione della sessualità, ossia alla tendenza a considerarla come mera realtà naturale/organica scarsamente o per nulla correlata a fattori affettivi, relazionali, sociali, ecc. La diretta conseguenza di tale visione è la considerazione della sessualità come dimensione fruibile solo da persone con un apparato biologico sano e funzionale. 
Questo discorso rimanda direttamente ad una questione più ampia, concernente due aspetti correlati: la dicotomia natura/cultura e la dicotomia corpo soggetto/corpo oggetto. La prima implica l’identificazione dell’handicap come complesso sintomatologico derivante da una affezione organica prenatale, natale o postnatale della persona disabile come portatrice di una lesione organica ed ha determinato per lungo tempo la considerazione quasi esclusiva dell’aspetto organico dell’handicap (Pennella, 1997). Gli interventi clinici, com’è facile prevedere, sono una prerogativa della scienza medica. 
La seconda dicotomia rinvia, come afferma Pasini (1991) ad “una visione dualista del mondo e dell’uomo, alla vecchia separazione tra il corpo e lo spirito…”Tale visione postula l’esclusiva appartenenza dell’handicap e della sessualità alla condizione biologica, lasciando poco spazio ad interpretazioni più complesse ed integrate. Al contrario, noi riteniamo che l’evoluzione individuale non possa essere interpretata al di fuori del contesto sociale, senza correre il rischio di elaborare concezioni fallaci e riduttive. La dimensione sessuale, dunque, inevitabilmente si incontra con la visione psicologica del corpo-soggetto, “entrambe pur possedendo una indubbia natura biologica, acquistano tuttavia un senso grazie al loro inserimento all’interno di una dimensione culturale” (Pennella, 1997). 

La psicosessualità nella struttura della persona 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità offre una definizione della sessualità che consideriamo pienamente condivisibile e che recita così: “La salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali dell’essere sessuato, allo scopo di pervenire ad un arricchimento della personalità umana e della comunicazione dell’essere. 
Alcuni autori (Covigli, 1987; Valente Torre , Cerrato, 1987; Sbardella , Secchi, 1997) evidenziano che la sessualità non coincide esclusivamente con la genitalità e la soluzione della “questione sessuale” non può trascurare altri aspetti ad essa connessi, quali la corporeità, il contatto fisico, la tenerezza, l’affettività, ecc. 
“La sessualità è una dimensione strettamente psichica, di enorme complessità, come hanno rilevato gli studi psicoanalitici: tutta la letteratura di impostazione analitica ha sottolineato la dinamica affettiva, profonda e precoce nella relazione primaria del bambino con i genitori (o con gli adulti significativi sostitutivi) nel determinare la genesi e lo sviluppo della sessualità” (Sbardella, Secchi, id). 
La sessualità, o meglio la psicosessualità, possiede una dimensione genetica in quanto aspetto umano fondamentale che appartiene all’individuo fin dalla nascita e ne accompagnerà l’esistenza, sviluppandosi verso una strutturazione sempre più complessa e integrata. Essa si inserisce in una prospettiva dinamica, essendo intimamente connessa ad ogni altra dimensione della personalità. 
La psicosessualità possiede, inoltre, una dimensione strutturale in quanto comprende elementi e caratteristiche proprie sia del Super-Io che dell’Io e dell’Es, seppure in modo variabile lungo il corso dell’esistenza. 
Dal punto di vista topico, la psicosessualità possiede aspetti consci, preconsci ed inconsci, la cui conoscenza consente di attribuire significato al comportamento e di operare scelte libere e gratificanti. Nell’economia psichica, la psicosessualità possiede una spinta maturativa uguale e, molto spesso, maggiore ad altre dimensioni psicosociali ed ambientali. Essa, infatti, può contribuire alla promozione dell’immagine di sè, dell’autostima, della capacità di affermazione e di interazione significativa e gratificante. 
La psicosessualità rappresenta una realtà complessa e composta da numerosi elementi, la cui scarsa articolazione e sconnessione iniziali vengono gradualmente superate, per giungere ad una integrazione più o meno completa, favorita, peraltro, dalla stessa maturità psicosessuale. Gli elementi che la compongono possiedono una fondamentale valenza maturativa, tanto che l’assenza o la carenza di uno di essi può compromettere lo sviluppo e la stabilità della dimensione psicosessuale dell’individuo. Tali elementi coincidono con sei differenti aspetti: l’area biofisiologica, definita dalla dimensione cromosomica, genetica, endocrina, morfologica e funzionale della sessualità; l’aspetto pulsionale che rimanda alla energia sessuale propria dei bisogni, dei desideri, delle aspettative individuali; l’ambito emotivo-affettivo, cui appartengono i sentimenti e le emozioni, sostanzialmente euforici, che accompagnano la dimensione psicosessuale, in particolare il riconoscimento e l’accettazione della propria identità di persona sessuata, e rappresentano una fonte di soddisfacimento, di gratificazione e di realizzazione; l’ambito cognitivo coincide con il riconoscimento e la comprensione della realtà sessuale, sia in generale sia della propria, che consente di attribuire alla dimensione sessuale la giusta importanza, di comprendere la propria identità psicosessuale, definendo in modo autonomo e personale il proprio ruolo sessuale e, infine, individuare e valutare realisticamente i propri desideri, le proprie aspirazioni e le aspettative nei confronti di questa particolare dimensione della personalità; l’aspetto storico-culturale, ossia la conoscenza e la comprensione dei condizionamenti che la storia e la cultura hanno imposto alla realtà psicosessuale, per poter assumere nei loro confronti un atteggiamento critico, operando scelte autonome e personali; infine, l’ambito dei valori che definisce la collocazione, responsabile, critica e autonoma, della sessualità all’interno del proprio quadro assiologico. 
La sessualità umana è, dunque, profondamente e inevitabilmente intrisa di psiche, in quanto oltre l’imprescindibile aspetto biofisiologico, comprende e interessa aspetti presenti in ogni area della personalità, quella affettiva, percettiva, emotiva, relazionale, pulsionale, motivazionale, ecc. Tale interdipendenza giustifica l’estrema difficoltà di comprendere la sessualità, analizzandola esclusivamente secondo la prospettiva biofisiologica, indubbiamente importante, ma non unica. La dimensione sessuale, per i motivi che abbiamo proposto, rappresenta un elemento primario per definire e valutare la maturità individuale, in quanto costituisce uno degli aspetti fondamentali che la integrano e la determinano e, al tempo stesso, ne è un indicatore basilare. Tuttavia, la stabilità della realtà sessuale risente notevolmente delle sollecitazioni contraddittorie cui è sottoposta, ed è perciò spesso fragile e precaria. In condizioni di crisi, infatti, la dimensione psicosessuale è uno dei primi aspetti della personalità a manifestare disturbi di diversa gravità, che interessano non solo il livello del desiderio, ma anche quello più concreto della condotta sessuale. 
Il discorso sulla psicosessualità risulta particolarmente complesso a causa della notevole influenza esercitata da una considerevole serie di fattori, personali, storici, educativi, socio-culturali, religiosi, ecc., e che può determinare l’emergere di vissuti negativi che impediscono di affrontarla e viverla con serenità, apertura e obiettività nei suoi diversi aspetti. Inoltre, nonostante la notevole quantità di informazioni disponibili per tutti, si riscontra, soprattutto negli adulti e negli anziani, la difficoltà di raggiungere un livello adeguato di comprensione e di consapevolezza circa la complessità della dimensione psicosessuale. Tale carenza può essere in parte attribuita alla difficoltà di accedere ad una appropriata condizione formativa, che consenta di utilizzare la realtà psicosessuale come strumento di integrazione e di crescita personale, attraverso un approccio libero, aperto, sereno e consapevole. In molte circostanze, infatti, nonostante il crollo dei tabù riguardanti la sessualità, quest’ultima non è oggetto di comunicazioni obiettive, chiare e costruttive. 
Si assiste perciò ancora oggi alla attuazione di processi formativi parziali e riduttivi, che non rappresentano delle valide esperienze educative, riducendosi, in molti casi, ad una sterile e inefficace trasmissione di informazioni. Tale condizione può essere attribuita al fatto che i contenuti relativi alla sessualità sono spesso condizionati negativamente da interessi, preoccupazioni e scopi poco sereni e, a livello più o meno conscio, da sentimenti di colpa, vergogna e inadeguatezza. Queste difficoltà si riverberano in modo sfavorevole sulla possibilità degli individui di raggiungere la piena maturazione psicosessuale. 

Psicosessualità e persone con disabilità

L’esistenza e la manifestazione da parte degli individui disabili di bisogni, desideri e condotte psicosessuali, contrariamente a quanto avveniva in passato, non possono più essere negate o ignorate, ma esigono pieno rispetto e impegno per una possibile la realizzazione. 
Tali manifestazioni sessuali si esprimono nelle diverse tappe evolutive, in accordo con il grado e il livello di integrazione personale, di sviluppo cognitivo e fisico, di competenza relazionale e di adattamento e autonomia sociale. Ciò non significa che le difficoltà che il disabile presenta, in particolare se portatore di un handicap psichico, a livello di comunicazione verbale e non verbale, di sviluppo sociale, di integrazione emotiva, di dinamica relazionale, ecc. consentano di instaurare e mantenere relazioni affettivo- sessuali o anche solo genitali significative. Nel caso il cui ciò avvenga, è molto raro che il rapporto si trasformi in una relazione di coppia stabile e duratura. L’esigenza, infatti, di costruire legami durevoli appartiene generalmente a disabili che hanno raggiunto un buon livello di sviluppo cognitivo ed emotivo. 
Queste persone devono essere aiutate e sostenute nei momenti decisivi, che riguardano l’instaurarsi e il consolidarsi del rapporto ed eventuali desideri di formalizzazione del legame o di procreazione. Riteniamo, infatti, che la possibilità di manifestare e vivere i bisogni e i desideri sessuali, in accordo con il proprio grado di coscienza e capacità, sia un diritto umano fondamentale, che non deve essere ignorato ma rispettato e reso possibile. Ciò in particolare per le persone che, a causa delle loro difficoltà, necessitano dell’aiuto degli altri per realizzare la propria psicosessualità. 
E’ necessario, inoltre, distinguere con precisione le pulsioni e i desideri sessuali e le condotte attuate per realizzarli, dai comportamenti che hanno un significato più ampio, poichè rimandano ad esigenze di tipo affettivo-erotiche o a bisogni di relazioni interpersonali più durevoli. Con questo si vuole sottolineare la necessità di interpretare correttamente le esigenze e le richieste del disabile, giacchè alcune condotte apparentemente sessuali celano invece problematiche o richieste più diffusamente affettive e relazionali. 

Gli atteggiamenti degli educatori

Le affermazioni precedenti introducono il discorso relativo all’importanza e alle responsabilità che gli educatori hanno nel favorire la realizzazione del diritto dei disabili di esprimere e vivere la dimensione psicosessuale, al pari delle altre sfere della personalità e sempre secondo le proprie possibilità e in funzione del proprio benessere. Il presupposto fondamentale che consente agli educatori di dare una risposta efficace a tale esigenza, è la capacità di vivere senza angoscia le manifestazioni sessuali dei portatori di handicap, evitando atteggiamenti repressivi o di negazione. 
Un altro aspetto importante è l’acquisizione di una preparazione adeguata per rispondere alle esigenze di educazione sessuale dei soggetti disabili. 
E’ opportuno evidenziare che ci si riferisce ad una educazione sessuale che non riguarda restrittivamente la realtà e la attività propriamente genitale (riguardanti cioè il rapporto genitale, le misure contraccettive o la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili), ma anche i presupposti per una genitalità vissuta positivamente, ovvero la conoscenza del corpo proprio e altrui, la coscienza della propria identità sessuale e delle differenze sessuali, la comprensione della varietà dei rapporti interpersonali e dei differenti gradi di coinvolgimento e implicazioni, la consapevolezza dei significati del rapporto genitale, inteso nella sua funzione di soddisfacimento sia dei bisogni specificamente sessuali sia di quelli più ampiamente affettivi e relazionali. 
L’intervento pedagogico presuppone, naturalmente, la previa conoscenza delle capacità di comprensione del soggetto, del suo livello di sviluppo emotivo e pulsionale e deve essere attuato in seguito alla manifestazione dei bisogni e degli interessi specifici. 
E’ opportuno che gli educatori siano in grado di gestire adeguatamente i comportamenti del disabile di tipo sessuale, sensuale o specificamente genitale, evitando reazioni di negazione, di colpevolizzazione o di indifferenza. Affrontare correttamente le manifestazioni psicosessuali del soggetto rappresenta, inoltre, un importante deterrente per l’instaurarsi di condotte dagli esiti spesso irrimediabili, quali sfruttamento sessuale del disabile, gravidanze o trasmissione di malattie, o che compromettono od ostacolano l’inserimento sociale del portatore di handicap, perchè rifiutate o stigmatizzate a causa di pregiudizi. 
L’azione educativa deve essere mirata alla ricerca di nuove e stimolanti conoscenze, per instaurare relazioni affettive significative e gratificanti. La presenza attenta e benevola dell’educatore può evitare che tali relazioni divengano fonte di malessere e delusione perchè investite di aspettative irrealizzabili. 
L’attuazione di una azione pedagogica efficace, in grado di promuovere il benessere e la crescita dei disabili, nei limiti e nel rispetto delle difficoltà, dipende anche dalla capacità degli educatori di operare una chiara e consapevole distinzione fra i bisogni e le condotte psicosessuali del soggetto disabile dai propri vissuti emotivi e dagli eventuali conflitti non risolti relativi alla sessualità, per dare una risposta adeguata alle esigenze della persona in situazione di handicap. 
La dimensione psicosessuale dovrebbe essere affrontata e considerata al pari delle altre dimensioni della personalità e dl comportamento. Questo discorso rimanda necessariamente all’importanza di un adeguato percorso formativo per gli educatori e gli operatori che interagiscono con i soggetti disabili. Nel paragrafo seguente cercheremo di delineare un possibile percorso formativo, evidenziando gli imprescindibili presupposti che, a nostro avviso, devono orientarlo. 

La formazione:proposta di un progetto 

Ogni processo formativo costituisce un cammino faticoso e complesso e implica necessariamente una trasformazione personale, oltre che professionale, avendo come presupposto la ricerca della autenticità personale. Ciò è particolarmente importante per chi si occupa di soggetti disabili, giacchè si confronta con due realtà, l’handicap inteso come diversità e la sessualità, che per lungo tempo, e in alcuni casi tuttora, hanno rappresentato due tabù, sia considerati singolarmente sia in interazione. Ciò significa che gli operatori in formazione, a qualunque categoria appartengano, devono affrontare, elaborare e metabolizzare primariamente in sè due dimensioni di notevole pregnanza emotiva, psicologica, sociale e perfino morale. 
La sessualità, da un lato, intesa come dimensione umana fondamentale, deve essere profondamente analizzata e conosciuta dagli operatori, per evitare i condizionamenti di concezioni preconcette e/o stereotipate, a lungo diffuse e fuorvianti il rapporto con i soggetti disabili. 
L’handicap, dall’altro lato, presuppone da parte dell’operatore la necessità di confrontarsi con il vissuto emotivo suscitato dalla disabilità, che spesso ed a lungo si è tradotto in un atteggiamento pietistico o di superficiale solidarietà, inutili e da superare. Accostarsi all’handicap implica, inoltre, la riflessione e il confronto sul concetto di limite umano, che riguarda non solo la persona disabile, ma rappresenta una condizione ineluttabile dell’essere. 
Queste considerazioni inducono una serie di interrogativi che riguardano il processo formativo e le caratteristiche che esso deve possedere per essere efficace. In particolare, ci si domanda quali siano le responsabilità dell’operatore rispetto alle manifestazioni psicosessuali del disabile e di quali strategie e mezzi egli disponga per rispondervi adeguatamente. 
Dare risposta a tali quesiti non è semplice, così com’è difficile proporre un progetto formativo esauriente. Tuttavia, riteniamo che un possibile campo di indagine e di lavoro sia rappresentato dalla riflessione sul vissuto emotivo dell’operatore relativamente all’handicap e alla sessualità. 
Il presupposto su cui si basa il percorso formativo che intendiamo proporre è la convinzione che il soggetto disabile possieda delle peculiarità personali e di condotta che si distinguono per grado di gravità, di strutturazione e di manifestazione e che sia una persona unica e irripetibile, diversa ma non necessariamente malata e con il diritto imprescindibile di esprimere e vivere pienamente, per quel che la natura può permettergli, la propria psicosessualità. 
Sulla base di tali presupposti, riteniamo che il processo formativo non possa trascurare che il bisogno psicosessuale del disabile debba essere riconosciuto, accettato, difeso e favorito. Abbiamo già evidenziato che ciò implica lo sviluppo, anche se graduale, della capacità degli operatori di vivere le esigenze e le richieste psicosessuali della persona in situazione di handicap senza angoscia o panico e senza atteggiamenti di negazione, banalizzazione o di colpevolizzazione del disabile. 

L’esperienza formativa 

In questi ultimi anni l’attività del nostro Centro si è concentrata sulla strutturazione e realizzazione di un percorso formativo per operatori che collaborano con soggetti disabili. Tale percorso, come ogni formazione che intenda essere valida ed efficace, rispetta una condizione teorica e una più propriamente pratica. Tuttavia, l’obiettivo peculiare del progetto è rappresentato dal tentativo di operare una trasformazione profonda dell’operatore, promuovendo la sua autenticità storica, esistenziale e professionale. In particolare, il percorso proposto comprende indicazioni di carattere teorico-tecnico, relative alla dimensione psicosessuale e si fonda sulla teoria psicoanalitica, nello specifico sul modello di sviluppo elaborato da Erikson e proposto nel famoso libro “Infanzia e società”. 
Il percorso in sè non è dunque originale, ma crediamo che l’obiettivo di promuovere il confronto da parte dell’operatore con la propria dimensione psicosessuale, al fine di individuare, sperimentare ed elaborare i propri vissuti, spesso conflittuali, possa essere considerato un elemento creativo e innovativo. Molto spesso, infatti, i progetti formativi prendono in considerazione solo gli aspetti conoscitivi, informativi del problema e solamente in riferimento all’utente o paziente, disconoscendo l’importanza dei fattori emotivi e relazionali dell’operatore. Tali fattori inevitabilmente intervengono quando si instaura un rapporto umano, seppure di tipo professionale, e lo condizionano. Riteniamo, infatti, che ogni relazione d’aiuto, educativa o rieducativa, si declini all’interno di un “campo bipersonale”, un campo, cioè, in cui l’analisi della realtà dell’utente si associa necessariamente alla analisi e alla verifica dell’interazione che si costituisce nel setting lavorativo. In altri termini, uno spazio in cui la costruzione della realtà del disabile si intreccia in modo inevitabile con quella dell’operatore e in cui la nteso nella sua funzione di soddisfadimensione profonda dell’uno interagisce con quella dell’altro. 
Per quel che concerne la dimensione più propriamente tecnica, operativa il percorso formativo che intendiamo proporre e che riprende, come abbiamo detto, il modello evolutivo di Erikson (1976), consiste nell’elaborazione, assimilazione e accomodamento delle varie fasi della vita, che l’Autore individua in otto stadi cui corrisponde una specifica crisi psicosociale che deve essere superata. Il superamento della crisi e, dunque, il passaggio alla successiva fase di sviluppo dipende, oltre che dalle innate tendenze alla crescita di origine biologica, anche dalla risposta dell’ambiente familiare e sociale.
(superabile.it)

Bibliografia 

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4) Di Sauro R., La formazione alla psicoterapia psicoanalitica, in Pennella A. R. (a cura di). Il confine incerto, Kappa, Roma 
5) Erikson E,1967, Infanzia e società, Armando, Roma 
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10) Pennella A. R., 1997, Handicap e sessualità: alcune riflessioni su possibili analogie, Quaderni del Centro Italiano Psicomotricità, Latina, stampato in proprio 
11) Sbardella A, Secchi A,1997, Sessualità ed handicap in Quaderni Centro Italiano Psicomotricità, Latina, stampato in proprio 
12) Valente Torre L, CerratoM.T., 1987, La sessualità degli handicappati, Cortina, Roma 
13) Veglia F.,1991, Una carne sola, insegnare la sessualità agli handicappati, Franco Angeli,Milano 

Giovanni Cupidi

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