La scuola ha un ruolo fondamentale nella vita dei nostri figli.
Dovrebbe favorire conoscenza, inclusione, sviluppo delle potenzialità individuali.
Non sempre, però, è così.
A fronte di tanti insegnanti vicini ai propri alunni e attenti ai loro bisogni educativi e formativi, ce ne sono altri che svolgono meccanicamente il proprio lavoro, lasciando indietro i più deboli senza neanche aver realmente provato a intervenire perché anche loro trovassero un proprio metodo e una propria strada.
Ne sa qualcosa Andrea, ragazzo con una disabilità motoria, che ha vissuto le due facce della medaglia.
Alle elementari ha avuto la fortuna di incontrare insegnanti che hanno saputo cogliere e valorizzare le sue peculiarità e la sua mente vivace e lo incoraggiavano sicuri che avrebbe saputo fare grandi cose da adulto.
L’arrivo alla scuola media fu traumatico, con i compagni che non vedevano lui ma solo la sua disabilità, lo prendevano in giro e lo isolavano, e alcuni docenti che hanno inciso profondamente in negativo denigrandolo davanti alla classe e scoraggiando ogni suo tentativo di dimostrare il proprio valore.
A toccare l’acme dell’altra faccia del bullismo fu una professoressa che in terza media, nel momento in cui Andrea espresse il proprio desiderio di iscriversi al Liceo Classico, lo prese per un illuso buono a nulla e, per dimostrargli di aver ragione (la sua ragione malata) lo sfidò proponendogli l’analisi di un brano lungo e complesso, pungolandolo perché facesse in fretta e commentando pesantemente il fatto che il ragazzo stentasse ad andare avanti, terribilmente imbarazzato da quel processo inatteso e crudele, con tanto di spettatori che si godevano lo spettacolo.
“Visto che non sei in grado?” fu il commento lapidario della donna (non ci sentiamo di definirla “insegnante”).
Raggiunse il proprio scopo, riuscì a demoralizzare Andrea e a togliergli fiducia in se stesso, tanto che rinunciò a iscriversi al Liceo Classico.
Quella di Andrea è comunque una storia di riscatto, le sue belle capacità e l’incontro con persone migliori di quella professoressa lo hanno spinto a scegliere un percorso di studi universitari in linea con le sue aspirazioni e con il suo modo di essere e di sentire, e a raggiungere risultati molto soddisfacenti sia negli studi che nella vita.
Oggi però Andrea pensa ai tanti ragazzi che, come lui, possono essere discriminati perché portatori di una difficoltà, non necessariamente una disabilità.
IL CONSIGLIO
Il suo messaggio ad insegnanti ed educatori è chiaro: ogni alunno va incoraggiato e stimolato ma la motivazione dev’essere più forte e costante nei confronti di chi è in difficoltà.
È facile e comodo lasciare indietro i più deboli e proseguire a ritmo sostenuto con chi ce la fa anche da solo. Il compito di chi lavora a contatto con i giovani è avvicinarli allo studio, riuscire a farglielo amare e ciò non può accadere se non si affrontano contenuti che abbiano ricadute educative sull’alunno, ma importante è soprattutto l’atteggiamento del docente.
Andrea non ha dubbi, il bravo docente è colui che affianca lo studente, che lo guida anche con l’esempio, che lo incoraggia riportando esempi di persone che, pur avendo una difficoltà di base, sono state in grado di affermare se stesse e costruire un soddisfacente progetto di vita. Buon insegnante è colui che registra i deficit e le lacune non per stigmatizzare l’alunno ma per intervenire affinché lui possa superare i propri limiti e migliorare rispetto ai propri livelli di partenza.
Da docente mi sento di aggiungere che, come la gran parte dei miei colleghi m’insegna, non dovrebbe esistere uno standard qualitativo univoco per tutti. Ogni alunno va incoraggiato a migliorare le proprie abilità accrescendo le proprie conoscenze e potenziando i propri mezzi ma il traguardo è personale e non dovremmo mai fare vivere la scuola come una gara in cui c’è chi resta sul selciato.