
La condizione base per l’apprendimento e l’integrazione in classe è che ci sia un ambiente sereno. Vale per tutti gli studenti, ma in particolare in presenza di un alunno che ha qualche difficoltà in più. Ad esempio, un deficit di attenzione legato a una condizione di iperattività. È molto difficile far concentrare questi alunni su qualcosa, specie per un tempo più lungo. Tendono ad alzarsi spesso e a muoversi in modo non funzionale. Talvolta si decide di allontanarli momentaneamente dall’aula per consentire agli altri di far lezione.
Ma non può essere una soluzione quella di separarli continuamente dal gruppo, non per una scuola che parla sempre più di inclusività. Ci riflettiamo su con Rosaria Meli, docente di sostegno alla scuola primaria.
IL CONSIGLIO
Prima di suggerire cosa fare, Rosaria ci dice cosa la sua esperienza le ha insegnato a non fare: colpevolizzare il bambino iperattivo. “Non è un capriccio il suo – spiega – Ha un bisogno compulsivo di muoversi, e costringerlo a non farlo genera in lui un comportamento oppositivo le cui conseguenze ricadono su tutta la classe.“
Quindi, che fare? Consentirgli di andare a briglia sciolta? “L’insegnante dev’essere attenta a cogliere i segnali che precedono il sorgere del comportamento-problema. Ad esempio, se sta seduto ma fa oscillare tanto le gambe può significare che non ce la fa più a rimanere in quella posizione. In tal caso, è bene distrarlo affidandogli un compito alla sua portata, qualcosa che lo impegni e canalizzi la sua energia facendolo sentire utile, anche solo dividere le fotocopie tra i compagni o gettare la carta nel cestino. Occorre però stare attenti a bilanciare i ruoli coinvolgendo poi a turno anche gli altri compagni che, altrimenti, lo vedrebbero come un privilegiato e si otterrebbe l’effetto contrario all’inclusione.“
NELLO SPECIFICO
Come muoversi perché l’alunno allunghi i tempi di attenzione e acquisisca abilità e contenuti? “È importante guidare lo studente con difficoltà all’acquisizione di maggiore autostima e ciò si può ottenere non pretendendo subito tutto da lui, ma procedendo per gradi, sia nella difficoltà dei compiti da assegnargli sia nei tempi d’attenzione. Tutto parte dall’osservazione: se un bambino all’inizio riesce a prestare attenzione solo per 20 secondi, occorre dargli un compito che si possa svolgere in 19, altrimenti, se l’obiettivo è troppo alto, rinuncerà, si sentirà frustrato e odierà la scuola. Per motivarlo, gli si può promettere che a lavoro concluso potrà dedicarsi a un’attività che gli piace, possibilmente insieme ai compagni. Utile strumento per l’insegnante è tenere un diario di bordo quotidiano per registrare passi avanti e stalli. In tal modo si potrà aggiustare il tiro in corsa e rendersi realmente conto dei progressi compiuti.“