Disabilità a tavola: problemi e soluzioni per locali a misura di tutti

Se sulle barriere architettoniche sono stati fatti molti passi avanti, andare al ristorante o ordinare una cena d’asporto per una persona cieca o sorda non è semplice. Ma un’accoglienza inclusiva è possibile. Come dimostrano questi esempi

Ristorazione e disabilità, un tema del quale si parla poco, ma che riguarda tantissime persone. Solo in Italia, secondo i dati Istat, i disabili superano i tre milioni. Non solo: il concetto di disabilità può essere esteso anche a situazioni contingenti, dovute a difficoltà temporanee, oppure a problemi lievi che però rendono difficile andare a cena fuori.

Se il tema delle barriere architettoniche è noto e discusso da tempo, e sono stati fatti molti passi avanti in questo senso, sul fronte delle altre disabilità tutto sembra essere fermo.

Andare al ristorante per una persona cieca o sorda, ad esempio, non è semplice come lo è per un non disabile. E la questione non riguarda solo i locali, ma anche i delivery, sia quelli gestiti da piattaforme sia quelli organizzati direttamente dai ristoratori. Un numero consistente di essi, infatti, non ha un sito web accessibile, cioè che possa essere utilizzato da tutti senza problemi.

Per navigare sul web non sono sufficienti le tecnologie assistive, come ad esempio i lettori di schermo utilizzati da chi non vede, ma è altrettanto importante che le pagine siano progettate e realizzate secondo specifici dettami. Se questo non viene fatto, per un disabile può diventare impossibile leggere un menu, ordinare la cena da farsi portare a casa o anche semplicemente trovare il numero di telefono per prenotare un tavolo.

Eppure, secondo gli esperti, progettare siti web accessibili è utile in ogni caso, perché il risultato finale è per tutti migliore in termini di comprensibilità e facilità di uso, indipendentemente dall’eventuale disabilità di chi lo sta visitando. Senza tener conto che tagliar fuori una fetta consistente di potenziali clienti, anche da un punto di vista commerciale, non sembra la scelta migliore.

La questione disabilità diventa ancora più tangibile nel momento in cui si mette piede in un ristorante. Come legge il menu un cieco? E certi caratteri scritti in piccolo o con un carattere di stampa poco chiaro o su uno sfondo che permette poco contrasto, sono adatti agli ipovedenti, ai dislessici, ai daltonici? Un sordo o un muto come interagiscono con il cameriere?

La soluzione più comune è quella di farsi accompagnare da qualcuno che possa dare una mano, ma è auspicabile una maggiore attenzione dei ristoratori: audio menu per chi ha difficoltà a leggere, fogli stampati su cui fare una crocetta accanto al piatto da ordinare per chi non riesce a parlare, personale pronto a relazionarsi per scritto con chi ha problemi di udito, solo per fare qualche esempio facile da mettere in pratica.

Le eccezioni sono rare, e a farsene carico sono quasi sempre ristoratori che hanno esperienza diretta con la disabilità. A Roma tutto il personale di sala del ristorante One Sense è composto da ragazze e ragazzi sordi, che interagiscono con il cliente leggendo le labbra e comunicano tra loro utilizzando il Lis (Lingua italiana dei segni), riuscendo a gestire egregiamente anche le situazioni più complesse, indipendentemente dall’eventuale disabilità del cliente.

A Bologna il Senza Nome è un bar nel quale è possibile ordinare solamente esprimendosi in Lis oppure scrivendo su dei foglietti, ed è questa la strategia utilizzata dai fondatori per fare in modo che siano gli udenti ad adattarsi alla situazione, non viceversa.

Molto apprezzata è la cucina marocchina del 1000 & 1 Signes di Parigi, dove tutto il personale è sordo. Interessante, e più strutturata, la proposta di Dans le noir, una catena di locali sparsi per l’Europa, ma non da noi, oltre che in Nuova Zelanda e Marocco. Qui per qualche ora si diventa tutti ciechi, perché la cena è servita totalmente al buio.

Guidati da personale non vedente, si vive un’esperienza che ha l’obiettivo di mettere tutti i clienti sullo stesso piano e, allo stesso tempo, di far immedesimare i vedenti in una situazione difficile da immaginare. Ma c’è un ulteriore aspetto sorprendente, la momentanea privazione della vista obbliga a sfruttare al meglio gli altri sensi, che però non sempre riescono a sopperire.

Diventa così difficile comprendere gli ingredienti di una pietanza, o persino se un vino è bianco o rosso; sembra impossibile, ma anche esperti sommelier possono andare in crisi davanti al vino in un bicchiere nero.

Purtroppo i locali a misura di disabile si contano sulle punte delle dita, e se ne possono capire le ragioni economiche, ma sarebbe importante iniziare a ragionare su questo tema. Così come i locali pensati per i disabili sono frequentati anche da chi disabile non è, allo stesso modo ogni altro ristorante dovrebbe fare quanto possibile per accogliere tutti nello stesso modo. Perché questo è il senso profondo dell’inclusività: stare tutti insieme, senza distinzioni. (repubbica.it)

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