Disabile, tenace e colto. Emanuele Filiberto «il Muto», il Savoia che sfidò il Re Sole

Viva Emanuele Filiberto. Il Muto, però. Non la sedicente e loquace «Altezza Reale» di oggi (come già si firma nei comunicati ignaro della Costituzione che alla XIV disposizione transitoria scrive: «I titoli nobiliari non sono riconosciuti») ma uno dei suoi antenati migliori. Cioè Emanuele Filiberto di Savoia-Carignano, figlio primogenito di Tommaso Francesco di Savoia, nato a Moûtiers nel 1628 e morto a Torino nel 1709.

Un uomo straordinario, che fa onore alla casata nonostante proprio in famiglia gli avessero inflitto dolori e umiliazioni. Basti ricordare, come scrive la sua biografa Leila Picco ne Il Savoia sordomuto (Giappichelli editore), il disprezzo che aveva per lui la stessa madre Maria di Borbone, contessa di Soissons, figlia di Carlo di Borbone, del ramo dei Condé, che menava vanto d’appartenere a una delle famiglie più in vista della Francia legata addirittura a Luigi XIV, il Re Sole.

Una donna spietata, che «aveva iniziato, fin dal momento in cui era divenuta evidente la presenza della disabilità del primogenito, a provare e a manifestare uno stato di avversione verso questo figlio, che considerava quasi un castigo di Dio e una offesa alla sua dignità di madre e di principessa di sangue reale». Come aveva osato, quel disabile, nascere dalle sue carni? E questo sentimento, scrive la Picco, non l’abbandonò mai «nel corso di tutta la vita senza affievolirsi con la vecchiaia e senza scomparire neanche al momento della manifestazione delle ultime volontà testamentarie».

Immaginatevi come poteva vivere questa ostilità materna: «Son necessitato a retirarmi sino a Racconigi per mia quiete», scrive a ventotto anni il ragazzo in una lettera in cui chiedeva aiuto alla seconda Madama Reale, Giovanna Battista di Savoia Nemours, «stante che la Principessa, mia signora madre, tiene dell’avversione per me e mi vuole far passare per matto e stravagante, cosa che mi affligge…» Eppure non solo non era né matto né stravagante ma, a dispetto dell’handicap, era in grado di vivere una vita decorosa ed era più colto di moltissimi nobili del suo tempo e di oggi. Tanto più di casa Savoia.

Emanuele Filiberto

Nascere totalmente sordi o meglio «sordi preverbali» come si dice più correttamente, è ancora oggi un handicap grave in gran parte del mondo perché, spiegano gli scienziati, i primi due o tre anni di vita sono per il bimbo determinanti. Ma se da qualche decennio è un problema in qualche modo superabile (nelle società più ricche) grazie agli impianti «cocleari», nel Seicento la disabilità inchiodava le persone a una vita di isolamento, dolore, buio. Emanuele Filiberto, nella disgrazia, ebbe una fortuna: nel 1636, quando aveva otto anni, finì con la famiglia a Madrid «di fatto ostaggi della Spagna», come spiega la Treccani nella voce curata da Andrea Merlotti, ma «trattati con tutti gli onori». Meglio ancora: il bambino fu affidato a corte all’uomo che verrà ricordato come uno dei fondatori della logopedia, Manuel Ramirez de Carrión autore del trattato Maravillas de naturaleza, che s’era fatto fama di «demutizzare i sordomuti», scrive la Real Academia de la Historia, come precettore del fratello sordomuto del conestabile di Castilla.

Una fortuna, come dicevamo. Ma Emanuele Filiberto ci mise del suo, imparando non solo a parlare con fatica ma correttamente il francese, lo spagnolo, il latino e l’italiano ma si impratichì in varie materie al punto di appassionarsi all’arte e all’architettura fino a suggerire lui stesso, pare, a Carlo Emanuele II, duca di Savoia e sovrano dello Stato sabaudo dal 1638 al 1675, alcune modifiche nella ideazione della stupenda Reggia di Venaria Reale progettata da Amedeo di Castellamonte e da Filippo Juvarra. Un miracolo della volontà e dell’intelligenza, per un uomo che quando era ragazzo, come confidò in una lettera del giugno 1649 conservata all’archivio di Stato di Torino, si rifiutò col fratello minore Giuseppe Emanuele, che era balbuziente, di «continuare a andare alla corte» perché gli altri cortigiani «si burlavano» di loro e li trattavano «come figlioli di doi anni non ostanti che abimo la barba al mentone».

Per due fasi storiche, dal 1656 al 1666 e poi dal 1675 al 1699, dice la sua biografia, Emanuele Filiberto di Savoia Carignano si ritrovò primo erede al trono nella successione dinastica. Poi la storia prese una piega diversa. Resta una curiosità: come sarebbe stato Emanuele Filiberto il muto, uomo capace di superare enormi difficoltà e guadagnarsi la stima di chi lo conosceva e di sfidare lo stesso Luigi XIV, a costo di finire per un periodo in esilio a Bologna, pur di sposare Angela Maria Caterina d’Este principessa di Modena e Reggio (che gli avrebbe dato quattro figli) invece che una nobile francese imposta dal Re Sole?

Chissà… Vista la dignità con cui affrontò la sua disabilità scrivendo addirittura di sentirsi «uomo privileggiato in vita dalla nascita e dalla fortuna», possiamo immaginare che sarebbe stato un buon re. E forse, fosse vissuto in questi anni, non avrebbe cantato con Pupo a Sanremo, ballato con la Carlucci, frequentato l’Isola dei famosi, fatto spot coi sottaceti Saclà e raccontato in tivù di non usare il bidet… (corriere.it)

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