Bambini disabili e affido: qual è la situazione in Italia?

Vengono definiti «difficilmente collocabili»: sono bambini che, per età o per problematiche di salute, faticano a trovare una famiglia che possa accoglierli in affido o in adozione. «La disabilità fa spesso paura ma la corretta informazione può fare la differenza», ci racconta una delle fondatrici di MammeMatte, associazione che dal 2017 porta avanti un’importante missione

Gli ultimi dati ufficiali in Italia risalgono al 2019 e parlano di 13.555 bambini in affido e 14.053 ospitati in case famiglia. Numeri già di per sé impressionanti ma che colpiscono  ancora di più quando pensiamo che tra quei minori in attesa di una famiglia che se ne prenda cura, ci sono bambini con disabilità o bisogni speciali. Bambini che, proprio per la loro condizione, faticano più degli altri a trovare una casa.

Quanti sono? Difficile dirlo. Quello che sappiamo però è che dal 2017 ad oggi sono stati 160 i minori con bisogni speciali che hanno trovato una famiglia grazie al lavoro svolto da M’aMa- Dalla Parte dei Bambini, Associazione conosciuta anche come La Rete delle MammeMatte e nata dal desiderio di creare una rete di famiglie accoglienti sull’intero territorio nazionale, così da favorire la possibilità da parte di ciascun bambino di poter essere adottato o accolto in affido temporaneo.

«Noi lavoriamo in collaborazione con tribunali e servizi sociali – racconta Karin Falconi, Vicepresidente e co-fondatrice dell’Associazione – Quando il tribunale non trova nel proprio database una famiglia che possa accogliere un bambino con bisogni speciali si rivolge a noi. Il nostro scopo è dunque quello di trovare una famiglia a bambini che sono ormai grandi, dai 10 anni in su, oppure con una forte disabilità o ancora bimbi vittime di abusi e maltrattamenti».

Bambini in affido: l’Associazione MammeMatte

A fondare nel 2017 l’Associazione MammeMatte, tre professioniste e mamme che hanno vissuto l’esperienza dell’affido e dell’adozione: insieme a Karin Falconi, counsellor specializzata nel sostegno alla genitorialità affidataria e adottiva, ci sono Emilia Russo, avvocato specializzato in diritto di famiglia oltre che Presidente dell’Associazione e Viviana Bucciarelli, pedagogista.  L’Associazione, con sede legale a Roma e diverse sedi operative in alcune regioni,  opera oggi su tutto il territorio nazionale.

«Ci occupiamo dei minori che vengono definiti dai tribunali difficilmente collocabili, per età o problematiche di salute – continua Karin – il tribunale si rivolge a noi perché abbiamo una rete di famiglie formate dai servizi territoriali e disponibili anche ad accogliere bambini con bisogni speciali».

L’ostacolo, però, spesso risiede proprio nei percorsi di formazione per l’affidamento, che non seguono linee guida generali ma che cambiano da comune a comune.

«Uno dei problemi è che in Italia ogni comune prevede percorsi formativi diversi sull’affido – continua Karin – e purtroppo ci sono dei percorsi, anche in Lazio, che prevedono perfino un corso di sole due ore. Questo significa che si fa un colloquio informativo con un assistente sociale e uno psicologo e dopo due ore si è già inseriti nel database delle famiglie formate per accogliere un minore».   

Si potrebbe pensare che una procedura semplificata faciliti le cose, in realtà è proprio da questo tipo di approccio che nascono gli ostacoli. Ostacoli che finiscono per rendere molto difficile l’affido di alcuni bambini.

«Per quanto riguarda i minori con disabilità o con bisogni speciali,  la formazione non è chiara – continua la vicepresidente dell’Associazione – anzi, l’argomento ‘bisogni speciali’ non viene affrontato. Un persona che non ha esperienza diretta con la disabilità e che non ha conoscenze di quello che è il mondo vasto delle disabilità – che può comprendere migliaia di forme diverse, da quelle cognitive a quelle fisiche –  non riceve un’informazione adeguata e quindi ha difficoltà ad accettare l’affido di bambini con problematiche sanitarie, o anche solo di età grandicella come adolescenti e preadolescenti. Spesso alla base c’è il preconcetto che disabilità equivale a difficoltà e che bisogna essere eccezionali per accogliere un bambino speciale. Disabilità e diversità, insomma, fanno spesso paura».

Bambini disabili e affido: mariti e compagni
Bambini in affido e disabilità: l’importanza della corretta informazione

È su questo fronte, dunque, che la sensibilizzazione e la corretta informazione possono davvero fare la differenza. «Noi forniamo anche servizi di consulenza e di orientamento individuale o di coppia – sottolinea Karin Falconi – Molte famiglie si sono rivolte a noi perché volevano accogliere un bambino in affido, senza mettere in conto la possibilità che si trattasse di un bambino con bisogni speciali ma poi, grazie ai percorsi che abbiamo offerto, si sono aperte e hanno accolto bambini che non avrebbero mai pensato di accogliere, per età o per disabilità».

Il sostegno alla famiglie e i percorsi di formazione sono fondamentali anche per prevenire quello che è un rischio molto alto, ovvero che i bambini possano essere “restituiti” dalle famiglie affidatarie, finendo per subire un nuovo trauma nel loro già difficile percorso.

«La restituzione è un problema che riguarda purtroppo non solo bambini con disabilità – sottolinea ancora Karin Falconi – alla base di questo fenomeno c’è spesso la mancanza di una formazione adeguata delle famiglie che non riescono così a prevedere la complessità di un affido. Non solo, anche gli operatori spesso tralasciano di sensibilizzare e in-formare le famiglie sulla particolarità di ‘una accoglienza speciale’, così troppo spesso capita che le famiglie non diano disponibilità solo per paura o la diano immaginando ingenuamente che solo l’amore possa bastare, senza una reale consapevolezza».

Coppie omosessuali e single spesso non vengono presi in considerazione 

La rete creata dall’Associazione M’aMa- Dalla Parte dei Bambini conta oggi tremila famiglie disponibili all’affido, tra queste, coppie tradizionali, ma anche coppie omosessuali e single, purché opportunamente formate sull’affido.
Tuttavia, sebbene per la legge italiana l’affido sia consentito anche a un single, la reale applicazione di questa norma sembra essere un ulteriore ostacolo.

«Come Associazione noi ci occupiamo di bambini difficilmente collocabili ma anche di genitori o comunque persone che vorrebbero diventarlo e che avrebbero il nullaosta per farlo ma che in realtà la maggior parte dei tribunali tranne eccezioni virtuose come il Tribunale di Firenze, non prende in considerazione – conferma Karin FalconiUn 30% del nostro database è formato da coppie omosessuali e single che, sebbene siano opportunamente formati dai servizi sociali degli stessi tribunali, restano di fatto “parcheggiati” perché non vengono presi in considerazione per un affido.

Quando ci arriva la richiesta da parte del tribunale di cercare una famiglia per un bambino, il più delle volte viene infatti specificato che non si riferisce né a coppie omosessuali né a single. Ma la nostra risposta negli ultimi mesi è cambiata: nonostante infatti non sia richiesta la loro disponibilità, abbiamo deciso di inviarla comunque a servizi e tribunali che hanno in carico il minore, per dimostrare che le famiglie omo e monogenitoriali sono pronte ad accogliere e sono opportunamente formate”.

Per questo, all’interno dell’Associazione,  è nato anche il progetto AFFIDIamoci che sostiene l’affido da parte di genitori single e di coppie omosessuali. «Alla base l’idea che ogni bambino ha il diritto di avere una famiglia – spiega la vicepresidente – e se per un dato bambino, a seconda delle sue necessità, va bene l’abbinamento con una famiglia omosessuale o con un single, bisogna che questa opportunità sia presa in considerazione altrimenti si toglie davvero al piccolo la possibilità di trovare una famiglia».

Il lavoro portato avanti con passione da associazioni come quella delle MammeMatte si rivela dunque fondamentale ma tanto c’è ancora da fare per facilitare l’affido e l’adozione dei bambini, in particolare modo di quelli con bisogni speciali.

«La diffusione, già a partire dalla scuola, della conoscenza della disabilità e dei bisogni speciali è un primo passo – conclude Karin Falconi – perché la disabilità non deve spaventare. Noi siamo infatti convinte che ognuno di noi sia in grado di accogliere un certo tipo di disabilità, non tutte ma una certa disabilità – in base al proprio vissuto e al proprio percorso –  sì.  Non c’è bisogno di essere persone straordinarie, insomma, per accogliere un bambino con bisogni speciali. Bisogna solo contare sul giusto supporto e sulla corretta informazione».

(vanityfair.it)

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